Politica

Daccò in catene come Carra: clima da inquisizione a Milano

Scandalo sanità, il manager in tribunale con gli schiavettoni ai polsi. Il legale: "Caso da Corte dei diritti dell'uomo". Il precedente: Enzo Carra, portavoce Dc in ceppi durante Mani pulite

Daccò in catene come Carra: clima da inquisizione a Milano

Milano - L'uomo senza volto rimane senza volto. Di Piero Daccò, recordman della carcerazione preventiva in questa nuova stagione di inchieste sulla politica, i lettori continueranno a conoscere solo quell'unico, sfocato scatto che circola dai tempi ormai remoti del suo arresto. Ieri Daccò esce brevemente dal carcere, ma il tribunale viene blindato per impedire che i cronisti lo vedano. Ma una immagine viene riferita, dall'interno del corridoio blindato dove si svolge l'interrogatorio di Daccò. Questa immagine racconta che il lobbista del San Raffaele - condannato a dieci anni per bancarotta, ma ancora in attesa dell'appello - è stato portato in aula con al polso uno di quegli attrezzi barbari che vanno sotto il nome di schiavettoni, i pesanti ceppi ai polsi con cui vengono trascinati in giro i detenuti. E questo flash inevitabilmente riporta indietro l'orologio di vent'anni: ai tempi di Mani Pulite, quando le immagini di Enzo Carra in ceppi scatenarono polemiche a non finire sull'utilizzo della galera.

Enzo Carra, portavoce della Dc, venne arrestato in diretta da Di Pietro per essersi rifiutato di rispondere alle domande sul suo leader Arnaldo Forlani. Daccò è in carcere da un anno per l'inchiesta sul marcio nella sanità lombarda, che vede indagato per corruzione il governatore Roberto Formigoni. A chi lo è andato a trovare in carcere, Daccò ha fatto capire chiaramente di attribuire la sua interminabile detenzione ad un motivo preciso: non ha incastrato Formigoni, non ha rilasciato le dichiarazioni che avrebbero permesso alla Procura di chiudere il cerchio intorno all'inquilino del Pirellone. «È un caso da corte dei diritti dell'uomo», tuona ieri il suo difensore Gian Piero Biancolella.

In questa situazione che si trascina da tempo irrompe ieri mattina il caso degli schiavettoni. Non sono più il marchingegno di lucchetti e chiavistelli che si usava ai tempi di Carra, ma una sua versione aggiornata: un blocco compatto d'acciaio che si serra intorno agli arti del malcapitato. Ed è ancora con i ceppi ai polsi che Daccò appare sulla soglia del giudice preliminare Lucia Marchiondelli, dove lo aspettano per una rogatoria i giudici svizzeri che indagano sul cotè elvetico dei suoi traffici.

Non è raro incrociare nei corridoi del palazzo di giustizia altri indagati, specie extracomunitari, con i polsi stretti nella morsa. Ma è anche vero che spesso e volentieri le esigenze della sicurezza vengono soddisfatte con delle semplici manette, e accade a volte anche di vedere detenuti con le mani libere. Chi ha deciso, allora, che ieri il presunto complice di Formigoni venisse portato in ceppi fin quasi nella stanza dell'interrogatorio? Dagli uffici giudiziari si risponde che tutto ciò che riguarda la custodia dei detenuti è di competenza della polizia penitenziaria e che la magistratura non ci mette becco. Gli schiavettoni, insomma, sarebbero stati solo la manifestazione di un eccesso di zelo non richiesto. Ma l'impressione resta. E resta il fatto che ai polsi di Daccò si è chiuso il massiccio blocco d'acciaio. Un attrezzo così ingombrante che gli stessi uomini di scorta rimpiangono i vecchi chiavistelli: «Se un detenuto riesce a darcelo sulla testa ce la spacca in due», racconta un agente penitenziario.

«Lo scandalo non sono solo gli schiavettoni ma una carcerazione preventiva che dura da un anno, «una espiazione anticipata della pena, esiste un diritto di libertà e una presunzione di innocenza» dice Biancolella ai cronisti alla fine dell'udienza.

Ma arrivano i carabinieri e gli impediscono di proseguire: i ceppi sono legali, raccontarli alla stampa, evidentemente, no.

Commenti