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De Luca non mi dispiace. Sa che il Pd fa pena

Non mi sorprende che Vincenzo De Luca, presidente di Regione Campania, faccia le pulci al suo partito

De Luca non mi dispiace. Sa che il Pd fa pena

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Caro direttore Feltri,
in questi giorni nelle librerie italiane è uscito il nuovo libro del presidente della Regione Campania Vincenzo De Luca, che non risparmia critiche al suo partito di appartenenza. Da cittadino mi sorge spontanea questa domanda: il partito democratico può ancora rappresentare certi ambienti e certe categorie come la classe operaia, i lavoratori in generale, le fasce più umili e in difficoltà della società?
Massimo Aurioso, Piombino, Livorno

Caro Massimo,
non mi sorprende che Vincenzo De Luca, presidente di Regione Campania, faccia le pulci al suo partito, del resto, egli ha dimostrato più volte di possedere oltre ad una piacevole ironia, quel sottile sarcasmo che lo ha reso conosciuto al di là dei confini della sua regione, anche lucidità e obiettività, caratteristiche che gli consentono di riconoscere e ammettere difetti, lacune, errori, miopie, contraddizioni, ipocrisie e inefficienze di quella classe politica della quale fa parte, sebbene la sua onestà mentale lo costringa a prenderne le distanze. Io stesso, quando c'è da attaccare il centrodestra, non me ne astengo. Ed è tale coerenza a fare di noi, che esercitiamo il libero pensiero, persone affidabili, coerenti. Magari non abbiamo ragione, bensì torto marcio, ma non importa, ciò che conta è il coraggio di esprimere ciò di cui siamo convinti, in una società dove si tende ad appiattirsi sull'opinione dominante, o comunemente accettata, o politicamente corretta, o semplicemente conveniente. Questi sono i motivi per cui De Luca non mi dispiace. Godendo di ampi consensi, egli ha la forza, che altri politici non hanno, di porsi persino di traverso al suo stesso partito e di essere preso in seria considerazione. Ricordo con affetto un mio prezioso amico il quale aveva questo pregio: Francesco Cossiga, che, proprio perché non faceva sconti a nessuno e picconava a destra e a sinistra e ancheal centro, era combattuto addirittura dai suoi colleghi di partito. Uomini e donne di questa levatura morale e mentale vanno apprezzati, salvaguardati, tenuti stretti.

De Luca si è reso conto che il Pd fa pena, però vi resta perché, evidentemente, non si ritrova in nessun altro partito. Vi resta per i valori originari di una sinistra che ormai è defunta e che nulla aveva a che fare con la sinistra odierna, quella di Elly Schlein. No, essa non rappresenta più gli operai, i lavoratori, gli umili, la gente che campa nelle periferie, luoghi che assomigliano sempre di più a giungle. La sinistra progressista e radical chic si batte per le piste ciclabili mortali, i divieti di accesso all'area C, l'aumento delle tasse sui trasporti pubblici, l'utero in affitto, le adozioni gay, la libertà di cambiare sesso prima della pubertà, l'accoglienza di chiunque e roba simile. Il salario minimo è divenuto una battaglia vitale da quando Meloni è premier, ma per oltre dieci anni di governo la sinistra perché non lo ha mai introdotto né considerato? Ieri non era importante e oggi, improvvisamente, lo è?

Emblematico è che nelle periferie, lì dove abitano le persone in difficoltà, la gente vota a destra, predilige la destra alla sinistra, mentre nel cuore delle città, dove dimorano i ricchi, i benestanti, quelli che non hanno problematiche economiche e possono ciarlare di ambiente, partecipare alla lussuosa cena di beneficenza, andare in vacanza alle Maldive, fare shopping forsennato e comprare l'ultimo modello di auto elettrica, si vota a sinistra.

La sinistra oggi è lontana anni luce dal popolo, tanto che il termine «popolo», con le sue declinazioni, ha assunto per i sedicenti democratici una connotazione negativa e dispregiativa, pensiamo ai derivati «populismo», «populisti», «popolare», «popolano».

Segno che alla sinistra il popolo fa irrimediabilmente schifo.

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