Definì la Meloni "neonazista". Lo storico Canfora a giudizio ma la premier ritira la querela

Giorgia Meloni ritira al querela nei confronti di Luciano Canfora

Definì la Meloni "neonazista". Lo storico Canfora a giudizio ma la premier ritira la querela
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Si erano mossi da Cambridge e dalla Sorbona, dalla Normale e da Princeton: chiedendo di salvare il soldato Canfora, intellettuale militante sul fronte della lotta al fascismo, a rischio di condanna per diffamazione. E ieri Giorgia Meloni, alla quale il professor Luciano Canfora aveva dato della neonazista, ritira la querela. Canfora scansa una condanna quasi certa: non sarebbe finito in carcere, ma sulla testa gli pendevano i ventimila euro di risarcimento chiesti dalla sua vittima.

Che a spingere la presidente del Consiglio a graziare Canfora sia stata la lettera aperta che in marzo ottanta docenti di tutto il mondo avevano firmato e divulgato, questo non è probabile. Dall'entourage della premier ieri non arrivano spiegazioni. Quindi si possono fare solo ipotesi. Compresa quella la Meloni non avesse molta voglia di trasformare un pensionato ottuagenario in un martire della libertà di pensiero. O che, più semplicemente, non volesse passare una giornata nel tribunale di Bari a testimoniare contro il suo querelato, come sarebbe stato inevitabile in una delle prossime udienze.

Tutto era cominciato nell'aprile 2022, quando Canfora era stato invitato a parlare agli studenti del liceo barese «Enrico Fermi» della guerra in Ucraina, e si era lanciato in una serie di contumelie all'indirizzo della Meloni, allora semplice deputata: «Essendo neonazista nell'animo, si è subito schierata con i neonazisti ucraini, è diventata una statista molto importante ed e' tutta contenta, naturalmente, di questo ruolo» aveva detto Canfora, aggiungendo che la Meloni è una «poveretta» «trattata come una mentecatta pericolosissima». La risposta della leader di Fratelli d'Italia non si era fatta attendere: «Una querela non gliela toglie nessuno».

La querela era partita davvero, e la Procura di Bari senza perdere tempo aveva spedito Canfora a processo per diffamazione, con citazione diretta a giudizio. A sostegno dell'anziano docente era insorta dapprima una serie di sigle, dall'Anpi alla Cgil, ricordando «la sua indiscutibile onestà intellettuale e la sua passione civile», e sostenendo che «il bersaglio ultimo dell'azione legale intrapresa dall'onorevole Meloni è il diritto costituzionalmente garantito alla libertà di pensiero e di opinione». Nel marzo scorso era arrivata la lettera pro-Canfora

dei cattedratici stranieri: che rincaravano la dose, affermando che «Meloni sta mettendo l'Italia sotto assedio» e accusandola di «far evolvere l'Italia verso il modello illiberale di Polonia e Ungheria». «Tutti noi ci ritroveremo idealmente al Tribunale di Bari, a fianco di Luciano Canfora», concludevano gli ottanta.

Le premesse per una telenovela politico-giudiziaria c'erano tutte.

Invece ieri, a tre giorni dalla prima udienza, il colpo di scena: il legale della premier comunica al giudice il ritiro della querela. La vicenda potrebbe non finire qui: Canfora ha diritto di rifiutare la revoca, e di pretendere un processo per dimostrare la propria innocenza. Lo si saprà all'udienza di lunedì.

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