Conosciamo- noi e i lettori - la fantasia e le bizzarrie irriverenti di Marcello Veneziani, e quest’ultima sua provocazione appare in linea con le precedenti: è un paradosso e non va preso alla lettera, ma esaminato con cura, come tutti i paradossi che contengono verità acrobatiche. Nel presente caso, Veneziani rilascia ai partiti della Seconda Repubblica il certificato di morte. Poi dimostra che la stessa seconda Repubblica in fondo era il tempo supplementare della prima, ed esprime il timore che la terza possa essere la clonazione di entrambe, quindi destinata al decesso nella culla. La soluzione che egli propone per superare l’impasse non è tecnica, bensì morale: un richiamo al volontariato popolare, un’esortazione alla gente affinché si mobiliti per selezionare uomini meritevoli di guidare lo Stato e il governo. Può sembrare un’ingenuità, ma tale non è. La democrazia infatti è andata a ramengo non per inidoneità o invecchiamento precoce. Si è inceppata per il cattivo funzionamento dei meccanismi che dovrebbero regolarla. Da molti anni i cittadini non partecipano ai grandi giochi della politica per disinnamoramento, indifferenza, noia, egoismo. Si eccitano un po’ sempre meno- solo in prossimità delle elezioni, quando i media si svegliano, svegliando i leader, e la competizione assume le caratteristiche di un derby che vede impegnate due squadre: quella dei buoni contro quella dei malvagi.
Quali siano i buoni e quali i malvagi non si sa, dipende dai punti di vista. Chi vince è considerato un usurpatore, chi perde si atteggia a vittima. A nessuno degli schieramenti che ottenga la maggioranza viene conferita la patente di legittimità per governare. Difatti da lustri i nostri governi non governano: tirano a campare, usano il potere solo per conservarlo anche al prossimo turno. Non decidono perché decidere significa accontentare qualcuno e scontentare qualcun altro. Nel dubbio che gli scontenti possano essere più numerosi dei contenti, conviene soprassedere. L’obiettivo dei partiti non è garantire al Paese una gestione corretta, ma non disperdere i consensi, ciò che comporterebbe l’esclusione dalla stanza dei bottoni. Bottoni che il premier e i suoi ministri comunque non pigiano nel terrore di essere subito mandati a casa dal Parlamento.
Ecco perché siamo allo stallo e sul punto di precipitare. La mancanza di coraggio dei politici si traduce in inefficienza. Anche l’esecutivo dei tecnici è stato contagiato dalla pavidità generale. Pensioni- anzi, età pensionabile- a parte, non ha osato tagliare la spesa corrente e si è limitato a fare ciò che avevano sempre fatto i governi del passato: aumentare le tasse strozzando l’economia già asfittica. Come si giustifica un atteggiamento tanto rinunciatario? Anche Mario Monti e soci antepongono la loro personale permanenza nel Palazzo alla salvezza del Paese. Non fosse così, non si comprenderebbe perché da quasi mezzo secolo il debito pubblico sia cresciuto sistematicamente, benché tutti coloro che si sono avvicendati al timone abbiano predicato che il bilancio sballato è la causa del disastro nazionale.
E il popolo che fa? Invece di partecipare alle vicende politiche, iscrivendosi ai partiti e determinandone le scelte, e magari il cambiamento di rotta, se ne distacca ogni giorno di più, nauseato e con la voglia di turarsi le orecchie per non udire gli strepiti dei partitanti. La platea del cosiddetto «teatrino della politica» è deserta, la recita ha scocciato perché è fine a se stessa. O muta lo spettacolo o presto calerà il sipario. Oppure il confronto dialettico si trasformerà in uno scontro di piazza dall’esito imprevedibile.
Lo scollamento tra rappresentanti e rappresentati, ormai totale, provoca un fenomeno preoccupante: i primi sono inconsapevoli delle esigenze dei secondi, agiscono alla carlona, vivono su un altro pianeta e forse non si rendono neppure conto di ciò cui vanno incontro. Ecco perché serve urgentemente una sterzata.
In questo senso i consigli di Veneziani sono saggi: la spinta per modificare lo statu quo, accertata l’inerzia dei partiti e la loro incapacità di rifondarsi, deve salire dal basso. Ma chi la organizza? Chi riesce a trasmettere al vertice la voce degli italiani? Potrebbero cominciare, a titolo di prova generale, alcuni giornali. Poi c’è la Rete, sin qui utilizzata al 10 per cento delle sue potenzialità. Sicuro. Ci manca l’esperienza, ma non è difficile farsela.
Basterebbe andare negli Stati Uniti e copiare. Succederà. Speriamo in fretta, in anticipo sulla catastrofe.C’è una scadenza: primavera 2013.
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