“Dica che vuole uscire dalla Nato”. L’affondo di Crosetto su Schlein

Il ministro della Difesa attacca Schlein: "Dica che vuole uscire dalla Nato". L'ala riformista dem in rivolta: "Ora nel partito bisogna discutere"

“Dica che vuole uscire dalla Nato”. L’affondo di Crosetto su Schlein
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“Dicano chiaramente che vogliono uscire dalla Nato”. Il ministro della Difesa Guido Crosetto, in un’intervista a La Stampa, non perde tempo e va dritto al punto: la svola pacifista di Elly Schlein e soci nasconde un sentimento anti-Nato. L’accusa non è da sottovalutare. Chiedere di rinviare l’impegno italiano di raggiungere almeno il 2% del Pil in spese militari, come ha fatto puntualmente la segretaria dem, significa mettere in discussione le basi dell’Alleanza atlantica.

L'affondo di Crosetto

“È legittimo – precisa Crosetto – ma devono andare fino in fondo”. La cultura anti-militarista rispolverata dal cassetto, volta a recuperare qualche elettore grillino, deve coesistere con una forte critica alla Nato e non solo. La posizione ambigua del nuovo corso dem, difesa dell’Ucraina sì ma senza aumenti di spese militari, non può stare in piedi. Il ministro della Difesa chiede solo un minimo di coerenza logica e politica:“Dicano che vogliono uscire dalla Nato – attacca Crosetto – Il 2% non è una scelta italiana”.

La strada tracciata dalla Schlein, supportata dal suo cerchio magico e ostacolata dall’ala riformista del partito, ha una sola direzione: amplificare un sentimento contrario alla Nato se non addirittura anti-occidentale. “Se seguissimo le indicazioni di Schlein – spiega perfettamente il titolare della Difesa – saremmo fuori dalle regole della Nato”. E allora, con un minimo di onestà intellettuale, servirebbe dirlo in modo chiaro e inequivocabile.“Quindi il non detto di questa posizione – continua Crosetto – è ‘Usciamo dalla Nato’. Opinione legittima, magari vogliono entrare nei Brics. Vedano loro, per me non è in agenda”.

I malumori interni al Pd

Il combinato disposto tra attacchi esterni da una parte e malumori interni dall’altra è una grossa spina nel fianco di Elly Schlein. Le stoccate di esponenti politici distanti dal Partito democratico fanno il paio con i dissidi interni al Nazareno. I cambi di linea targati Schlein, prima sulla guerra in Ucraina e poi sul referendum anti-Jobs Act convocato dalla Cgil, hanno creato un malcontento difficile da arginare. Il primo a interpretare l’insofferenza dell’ala riformista dem è il suo leader, Stefano Bonaccini. Il governatore emiliano, dalla Festa dell’Unità di Lodi, spara a palle incatenate contro i fedelissimi di Schlein. “Penso che non basti criticare chi sta al governo", esoridisce Bonaccini parlando di un Pd che “bisogna irrobustire stando attenti a non farlo diventare una forza percepita come minoritaria”.

L’esatto opposto di quanto sperato da Elly Schlein e il suo cerchio magico. “Non deve parlare solo di diritti civili – spiega il presidente emiliano – ma anche di quelli sociali”. A dare manforte a Bonaccini ci pensa il numero due dell’ala riformista dem: Lorenzo Guerini. L’ex ministro della Difesa ora presidente del Copasir non ha dubbi sul referendum anti-Jobs Act, voluto dal sindacato rosso e supportato da Schlein.

“C’è una leadership – spiega Guerini – ma dentro il mio partito voglio discutere: non voglio leggere che abbiamo deciso di aderire a un referendum senza che ne abbiamo discusso”. Il principale "indiziato" ha un nome e un cognome: Elly Schlein.

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