Cronache

D'Inzeo, l'oro di Roma che sussurrava ai cavalli

Figlio d'arte, una vita in sella, da 6 anni al trionfo olimpico di Piazza di Siena. Vinse la gara più importante davanti al fratello Piero che fu medaglia d'argento

D'Inzeo, l'oro di Roma che sussurrava ai cavalli

È morto a Roma il colonnello dei Carabinieri Raimondo d'Inzeo, uno dei massimi campioni del salto ad ostacoli dell'equitazione italiana, insieme al fratello Piero, colonnello di Cavalleria. Raimondo d'Inzeo aveva 88 anni e ha vinto nella sua lunga attività (partecipò e vinse a 5 Olimpiadi) un oro ed un bronzo alle olimpiadi di Roma del 1960, 2 argenti a Melbourne nel 1956, un bronzo a Tokyo nel 1964 ed un altro, l'ultima medaglia olimpica a Monaco di Baviera nel 1972. Per commemorarne la scomparsa, il presidente del Coni, Giovanni Malagò, ha deciso che oggi e domani in tutte le manifestazioni sportive che si svolgono in Italia verrà osservato un minuto di raccoglimento.

Il silenzio, stasera, è lo stesso che calava quando saltava gli ostacoli a Piazza di Siena. Percorso netto. Questa è stata la vita di Raimondo D'Inzeo, un percorso netto che si è concluso in un giorno di novembre piovoso, all'età di ottantotto anni. Un cavaliere d'Italia, il migliore di sempre, un carabiniere che con l'Arma Benemerita aveva conosciuto lo sport e i suoi sacrifici. Lui si pagava il fieno e la biada e le cure del cavallo anch'egli uso ad ubbidir tacendo. Di quei sacrifici Raimondo, il cavaliere d'oro, conservava ancora le ricevute, foglietti stropicciati, memorie di un'epoca impossibile e romantica. Quando in suoi compagni tornavano a casa, Raimondo lavorava in sella, rubando il tempo e l'affetto alla famiglia; faceva i doppi, i tripli turni, era la vita sua, così diversa e così lontana da comprendere per chi vive le ore contemporanee. Otto Olimpiadi, mille coppe e trofei, si spiegano con la semplicità di questo signore che osservava ancora i riti dell'inchino e del baciamano, dopo che, nei giorni della Costituente, passò venti giorni dentro un portone di Palazzo Madama, con un manipolo, erano venti anche , dei suoi commilitoni carabinieri. Quelli erano i migliori anni di Raimondo che non aveva bisogno di massaggiatore e preparatori atletici, faceva tutto il Germano, maniscalco, groom, veterinario, consigliere, autista. Mi disse un giorno che il cavallo degli ostacoli aveva una intelligenza diversa dai suoi simili, doveva saper leggere con gli occhi e scrivere con gli zoccoli. Il cavaliere ne accompagnava il passo, lo disciplinava, lo destava. Merano, Posillipo, Fiorello II, Gowran Girl, Bowjak, Bellevue i nomi dei suoi destrieri da concorso e da antologia letteraria. Preferiva i puledri castrati alle femmine che non volevano accettare il lavoro.

Raimondo D'Inzeo ha interpretato l'arte dell'equitazione, non soltanto per l'eleganza estetica ma per la sostanza del suo stile, dal Quarantotto al Settantasei attraverso i Giochi delle Olimpiadi, otto partecipazioni che avrebbero potuto essere nove se non ci fosse stato il gran rifiuto politico di Mosca: sei medaglie, un oro, due argenti, tre bronzi. Il ragazzo laureato al Politecnico di Milano aveva capito, subito dopo la guerra, alla prima Olimpiade che gli ostacoli sarebbero stati altissimi, a Londra arrivò trentesimo, ignorato. Quando erano ancora gli anni duri della guerra provò con il cinema, comparsa in un film con Osvaldo Valenti. Non era roba per lui. Eppure sognava i cow boys e gli indiani, Tex Willer era il suo idolo, avrebbe voluto essere un ranger. A Roma, nell'Italia del boom, sarebbe stato imperatore, insieme con suo fratello Piero, oro e argento per i D'Inzeo olimpici, l'Italia a cavallo. Era sabino di Poggio Mirteto che sarebbe diventata nota alla cronaca nera per le gesta criminali di Marcello Colafigli, membro della Banda della Magliana. Ma questa è un'altra Italia che nulla ha a che fare con il gentiluomo con l'inchino e la voce calda, educata, gentile. Raimondo D'Inzeo saluta in silenzio. Stavolta nessun applauso.

Soltanto il ringraziamento per la sua vita da cavaliere vero.

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