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Il diritto di sciopero piace solo il venerdì

Si annuncia l'astensione dal lavoro come si annunciavano le feste comandate

Il diritto di sciopero piace solo il venerdì
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In tempi remoti, ma neanche tanto, si usava programmare i pasti della famiglia, quindi si diceva: giovedì gnocchi, sabato trippa! La consuetudine credo si sia smarrita ma, nondimeno, verrebbe voglia di aggiornare il ritornello con un più veritiero: giovedì gnocchi, venerdì sciopero, sabato trippa !! Infatti, tra le poche certezze che sono rimaste al popolo è doveroso annoverare il santo venerdì dedicato allo sciopero. In quel giorno mediatico Landini ed i suoi accoliti chiamano i lavoratori all'astensione dal lavoro (e credo anche dalla paga) mentre il ceto medio è talmente ricco che lavora fino alla sera del venerdì, cercando di mandare avanti la baracca...

Francesco Testa

Caro Francesco,
la tua battuta «giovedì gnocchi, venerdì sciopero, sabato trippa» è più vera del telegiornale delle 20. E mi consente due considerazioni, una domestica e una pubblica. La prima: quel vecchio «calendario alimentare» di famiglia, che si usava anche in casa mia, non era una mania da massaie, ma buonsenso. Serviva a spendere meglio, a non sprecare, a garantire varietà e misura: legumi, verdure, pesce, carne, il piatto povero e quello della festa. Oggi che abbiamo buttato il quaderno delle ricette, abbiamo perso insieme l'economia e la disciplina a tavola. Il risultato è sotto gli occhi: merendine al posto del pranzo, cibi ultraprocessati che tengono buone le voglie ma non il corpo, ragazzi che saltano la colazione e vivono di bevande zuccherate. Non entro nei numeri - variano di anno in anno - ma l'obesità infantile in Italia è tra le più alte d'Europa: è un campanello d'allarme che dice tutto, e non da ieri. Recuperare un minimo d'ordine (anche solo il «lunedì minestra, martedì legumi») farebbe bene alla salute e al portafogli più di mille campagne moralistiche.

Veniamo al venerdì, diventato per certa sindacanza un rito liturgico: si annuncia l'astensione dal lavoro come si annunciavano le feste comandate. Io non contesto il diritto di sciopero, che è sacrosanto e costituzionale; contesto l'abuso e l'irrilevanza degli obiettivi. Troppo spesso i cortei del venerdì sono opposizione surrogata, scenografia per i talk-show: slogan generici, piattaforme indefinite, zero proposte praticabili. Nel mezzo, il Paese reale che deve portare a casa la pagnotta: pendolari bloccati, treni soppressi, scuole a singhiozzo, famiglie allo stremo nell'incastro quotidiano, imprese che perdono ordini e credibilità. È la tassa occulta sul lavoro altrui. Si opporrà: ma così si «alza l'attenzione». Benissimo: l'attenzione la si conquista con contenuti e serietà, non con l'ennesimo stop del venerdì pomeriggio per cominciare prima la fine settimana. E infatti, a forza di scioperi «a gettone», non cambia nulla: si accumulano disagi, ma non risultati. Perché? Perché manca la responsabilità: chi proclama non risponde dei danni prodotti e chi subisce non ha tutela se non la rassegnazione.

Da liberale pratico ritengo che sia ora di dire No agli scioperi-fotocopia del venerdì, a cadenza settimanale poiché diventano rumore di fondo e perdono la forza del gesto eccezionale.

La verità è che il lavoro regge l'Italia, non i cortei rituali.

E la classe media, piccoli imprenditori, professionisti, dipendenti del privato, lavorano fino a tardi proprio il venerdì per «mandare avanti la baracca», come scrive tu. Meritano rispetto almeno quanto i megafoni.

Recuperiamo un po' di ordine nelle case (anche a tavola) e un po' di serietà nelle piazze. Tutto il resto è slogan. E anche noia, come cantava il mio amico Franco Califano.

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