Draghi-Gentiloni, intreccio di relazioni e ambizioni

Il primo può diventare presidente del Consiglio dell’Ue, il secondo torna in patria per cercare un’alternativa a Schlein

Draghi-Gentiloni, intreccio di relazioni e ambizioni
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Mario Draghi e Paolo Gentiloni: due rette che si intersecano nell’asse del potere. Di quelle rette che si muovono senza far troppo rumore. Il primo è incaricato dalla von der Leyen per il dossier sulla «competitività» Ue e può succedere a Michel al vertice del Consiglio Ue. Il secondo intraprende il percorso geografico inverso e, da commissario Ue, annuncia il ritorno in patria con vista segreteria Pd. Non c’è un piano condiviso, un ordito per un’unica tessitura: è il puzzle della politica che si compone alla sua maniera. E pensare che di trait d’union, tra Draghi e Gentiloni, ne esisterebbero pure.

La presentazione di «Leader per forza» alla Luiss di novembre scorso è una fotografia segnante. C’era l’autore del libro, Antonio Funiciello, ex capo di gabinetto sia di Draghi sia di Gentiloni. C’erano anche Gianni Letta, Romano Prodi e Paola Severino, oltre al presidente dell’Università Luigi Gubitosi e a Fabio Corsico, direttore del Master in Family Business. Era presente proprio Gentiloni, che con Draghi non può che essere un «leader per forza». Qualche tempo dopo essere diventato commissario in Ue, il dem ha scelto come capo di gabinetto Fabrizio Balassone: una carriera in Bankitalia e almeno una scuola economica in comune con Draghi, quella di Federico Caffè.

Balassone, prima del trasloco in Ue, ha fatto in tempo a «bacchettare» l’esecutivo Meloni sulla prima legge di Bilancio. E da capo del Servizio della Struttura economica di Bankitalia aveva avvertito anche Draghi, almeno su alcuni rischi legati al Pnrr. Tant’è che qualcuno aveva scritto dell’allievo in contrasto col maestro. Poi c’è Alessandra dal Verme, direttore dell’Agenzia del demanio nominata dall’ex presidente della Bce e confermata dalla Meloni. E cognata di Gentiloni. Merito certo, e nessun familismo, ma comunque intreccio. Fin qui, i trait d’union.

Poi c’è la politica in senso stretto, con un grande pezzo del Pd che spera in primis che Gentiloni sostituisca la Schlein dopo le elezioni Europee. Se Elly non dovesse arrivare al 20%, la carta Gentiloni per il Nazareno sarebbe pronta. Ci sperano Filippo Sensi, Marianna Madia e Lia Quartapelle. E un po’ tutta Base riformista, che con la Schlein ha perso il diritto di cittadinanza nel partito. Renzi, dal canto suo, lavora soprattutto per la causa dell’ex presidente della Bce: lui e Gentiloni non sono vicinissimi. È Macron, come noto, a spingere per Draghi. E Renzi in Europa appartiene proprio al gruppo di riferimento del leader francese: Renew Europe.

Dopo la turnata di giugno, l’ex presidente della Bce presenterà in Ue il suo rapporto sulla «competitività». Michel potrebbe dimettersi prima della fine del suo mandato: vuole candidarsi al Parlamento Ue. In Italia, Schlein sfoglia la margherita per comprendere se andare all-in, candidandosi a Bruxelles, o spersonalizzare la competizione limitandosi alla regia. Tre quarti di partito sono in subbuglio.

Gentiloni prepara il ritorno a Roma con un ruolo che, in potenza, è tutto da definire ma che in atto è già prevedibile. Bisogna attendere i tempi della politica ma una certezza c’è già: Draghi e Gentiloni non staranno in panchina nei prossimi mesi. Il primo per stabilizzare la Meloni, il secondo per cercare un’alternativa a Schlein

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