Paolo Bracalini Roma Tutto dipende dal come, e in fin dei conti dal quanto. Se sarà fiducia, come pensa Bossi, il punto è quanta sarà, per quanti voti in più. «Se sono uno o due è impensabile andare avanti, ma se c’è una maggioranza più solida, da otto in su, allora...» ragiona un big leghista, che però deve rispettare l’ordine del silenzio impartito dal capo. Pregiudiziali non ce ne sono, nemmeno su Casini, «anche se non ha votato il federalismo fiscale, e questo non è un dettaglio da poco». Ma i leghisti sono pragmatici, gente semplice e di poche parole, «noi non facciamo giochini, perciò diciamo di aspettare il voto e vedere quali sono i veri numeri». Anche Bossi rimanda al giorno dopo, ma qualche apertura criptica la fa, come quando dice che «resterete meravigliati» dai numeri della fiducia, «esclamerete “ Non ci avevamo pensato che fosse così...” ». Il segretario federale accenna a defezioni in casa Fli, «diversi di loro confluiranno nella fiducia, non so dire quanti ma vinceremo, avremo una fiducia piena ». La sicurezza bossiana è reale o nasconde dell’altro? Difficile dirlo. Che ci sitrovi nel campo dell’azzardo e del gioco di probabilità lo assicura un colonnello leghista, però anche lui sotto anonimato: «È come nel poker, si gioca senza mai sapere se le carte che hai sono migliori di quelle dell’avversario. Io ho la sensazione che domani (oggi, ndr ) molti voteranno alla seconda chiamata, per aspettare di vedere cosa succede nella prima e regolarsi di conseguenza. Però per fare le riforme serve una maggioranza vera, sennò anche in commissione Bilancio andiamo sotto e lì serve il parere per i decreti sul federalismo fiscale.
È vero che non sono vincolanti, ma Napolitano firmerebbe mai un decreto che non ha l’ok sulla copertura? Io credo di no...». Il ragionamento leghista, ma inconfessabile, è
che sarebbe quasi meglio la sfiducia, perché porterebbe prima al
voto anticipato e spazzerebbe via i giochini da Prima repubblica. Però
anche in casa Carroccio sanno bene di essere legati a doppio filo
alle fortune del Pdl, e che Berlusconi non può perdere questa partita
con Fini. E quindi l’opzione «pura» della Lega, cioè le elezioni,
deve lasciare il posto ad una mediazione rispetto a quel che vorrà fare
Berlusconi con i numeri ottenuti oggi.
L’ipotesi più probabile, che
non scandalizza la Lega ma che certo non è quella che fa più contenti
gli uomini di Bossi, è un allargamento all’Udc. Ci sarà tempo tutte le
feste di Natale, prima del 10 gennaio, per imbastire un tavolo con i
centristi. Anche perché su quel tavolo caleranno questioni importanti,
nomine e cariche vacanti. Quelle delle Authority
ancora da assegnare, ministeri e poltrone da sottosegretario. E poi
tutta la partita delle amministrative di primavera prossima.
«Nell’Udc del Nord c’è una forte volontà di
ridare vita alla vecchia Casa delle libertà - dice una autorevole
fonte leghista - perché hanno visto che alleandosi col Pd, come in
Piemonte, non vanno lontano. E i democristiani non sono abituati a
stare per sempre all’opposizione... ». Le candidature per Torino,
Milano, Bologna, Trieste e altri comuni del Nord potranno essere anche
una leva per la stessa Lega, nel momento in cui dovrà «rinunciare» al
voto per assecondare la volontà di Berlusconi di portare avanti la
legislatura. Non sono da escludere sorprese però dalla Lega.
I
parlamentari leghisti hanno ricevuto l’ordine di fermarsi a Roma anche
dopo la fiducia, segno forse che la lancetta segna bel tempo. Ma
tutto dipende da oggi, e dai numeri che compariranno sul tabellone della Camera.
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