di Giuseppe Marino
Il ponte sullo Stretto? Meglio rinunciare, finirà con l'arricchire la mafia. È una delle chacchiere da bar che ha meglio messo radici nella coscienza comune, inclusa le parti della «società civile» e del mondo politico schierate contro la costruzione del ponte. Ovvio che sia legittimo criticare l'opera in sé, la sua opportunità, perfino la sua utilità. Ma l'argomento più specioso, e quello che più ha fatto presa, è stato proprio il rischio di infiltrazioni. Lo sanno bene tanti politici ambientalisti o pseudo tali che solitamente indicavano anche una loro ricetta alternativa alla grande infrastruttura per unire Scilla e Cariddi. E quasi sempre l'ideona era di buttarsi sulla «green economy», perché «meglio fare tanti piccoli progetti locali» che «non fanno gola alla mafia». L'inchiesta che leggete in questa pagina svela l'inganno che c'era dietro questi luoghi comuni. Proprio perché molto populista, la tesi del «ponte uguale mafia» è stata abusata strumentalmente, ma la realtà è che nei piccoli progetti ad alto tasso di foraggiamento con denaro pubblico, vedi eolico e fotovoltaico, le mafie hanno trovato un bengodi. Basta fare un giro nell'interno della campagna siciliana o di quella pugliese per scoprire quanti piccoli «innocui» progetti di campi solari ed eolici abbiano deturpato il paesaggio senza controllo, approfittando proprio del fatto che attirano meno l'attenzione rispetto a una grande opera. Il risultato è stato devastante. Perfino su Gibellina vecchia, distrutta dal terremoto del Belice e trasformata nel «Cretto», un sacrario-opera d'arte a memoria delle vittime del sisma, cade l'ombra di una pala eolica. Uno scempio ambientale e morale.
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