Ditemi quante diottrie vi mancano e vi dirò come ci vedete, ma fatemi vedere che occhiali portate e vi dirò chi siete. Altro che accessorio: gli occhiali non sono lo specchio dell'anima solo perché l'anima non esiste e «specchio della corteccia prefrontale» suona male, ma di certo sono la nostra identità. Se ne è accorta, a Parma, anche Mercanteinfiera, che per la sua ventesima edizione ospita la mostra «Sguardi eccellenti: famous eyesglasses». Tutto il pacifismo di John Lennon è in quegli occhialetti tondi e neutri, con le lenti rosse sarebbe stato Elton John, leggermente più grandi Lucio Dalla. Gli occhiali a cuore sono Lolita, i Rayban Wayfarer sono la musica dei Blues Brothers (e però, attenzione, li porta pure Matteo Renzi), i Persol pieghevoli Folding 714 sono gli anni Sessanta e il fascino di Steve McQueen. Insomma, ogni personalità è tutta una montatura, e ogni montatura è la metonimia, l'immagine, la quintessenza di chi la porta, quando non una vera e propria tragedia. Tipo Antonello Venditti, non ci credo che abbia ancora per sua scelta quegli orribili Ray-Ban giganti incollati sulla fronte, che ormai sono cafoni pure per i pusher della Magliana: sono i Ray-Ban di Venditti a portarsi dietro lui, Venditti è morto quarant'anni fa, assassinato dai suoi occhiali Alien. Roberto Maroni ha sdoganato gli occhiali rossi in politica e li resi out per chiunque altro dentro il confine italiano, accidenti a lui. Flavio Briatore non poteva non avere quelle lenti azzurrine, color Costa Smeralda e acqua di piscina del suo yacht: se quando lo vedete in tv zoomate, dentro ci vedete anche la Gregoraci che nuota. Togliersi gli occhiali invece può costare caro, si veda Arisa: senza occhiali anni Cinquanta, con i capelli cortissimi, sembra una serafica lesbica degli anni Ottanta scappata dal Sacro Cuore.
Tuttavia i più ridicoli sono quelli che scelgono quegli occhiali leggerissimi, per far credere di non averli, e allora mettetevi delle lenti a contatto e non rompete. E pensare che a New York va il «Nerd Style»: montature vistose anche con undici decimi, perché portare gli occhiali è fico. Io per esempio fossi stato in Berlusconi non mi sarei fidato di Gianfranco Fini proprio per questo: non solo la montatura invisibile, ma a un certo punto anche un ponticello d'oro nel mezzo, come un appartamento a Montecarlo sul setto nasale. Silvio, d'altra parte, non si è mai visto con un paio di occhiali da vista, per lui gli occhiali sono quelli indossati da Clark Kent prima di diventare Superman, e lui non è mai Clark Kent, non ha tempo. A parte gli occhialoni da sole neri di quando aveva l'uveite: per i maligni somigliava a Al Capone, per me a Anna Wintour, perfetto per la copertina di Vogue America. Invece, maestro dei colpi di scena, è finito sulla copertina del Sunday Times in primo piano con le occhiaie e il viso segnato di rughe. Volete informazioni preziose, quasi segrete? Gli intellettuali a Roma, da Giampiero Mughini a Roberto D'Agostino, comprano gli occhiali da Mondelliani, un'ottica fighetta vicino a Montecitorio dove c'è «la Rosy» e spesso ci incontrate tutto l'arco parlamentare presente e passato: una volta ci ho trovato perfino il ministro Francesco De Lorenzo, simpatico tra l'altro.
Io, più snob ancora, dopo aver dilapidato capitali in decine di Theo in edizione limitata, ho tradito Rosy e me li faccio mandare da Danilo Carraro a Venezia, sempre lo stesso modello esclusivo di cui mi custodiscono lo stampo, e spesso li porto con le lenti scurissime anche di notte, perché voglio guardare senza essere guardato. E anche per avere più carisma e sintomatico mistero, come se avessi l'uveite.
di Massimiliano Parente
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