di Mario Baldassarri
Due mesi fa la Corte dei Conti ha detto che «dentro» gli 800 miliardi di euro di spesa pubblica ci sono 60 miliardi di «corruzione» e «dentro» i 740 miliardi di euro di tasse «mancano» 120 miliardi di «evasione». Totale: 180 miliardi di euro. Meno di un mese fa, quattro economisti hanno stimato in uno studio della Banca dItalia le dimensioni delleconomia sommersa e delleconomia illegale. In totale oltre 400 miliardi di euro. Questi numeri sono asettiche analisi da relegare a un dibattito tra «tecnici ed esperti»? O al contrario toccano la carne viva della società italiana, ancor di più di fronte alla recessione in atto, a ventuno milioni di famiglie in difficoltà, a circa sei milioni di senza lavoro, a circa cinquantamila piccole e medie imprese che rischiano di chiudere bottega entro sei mesi? Qui sta il paradosso delleconomia, della società e della politica italiane.
Da un lato, abbiamo i bisogni della gente; dallaltro lato, abbiamo le risorse per produrre e crescere e, quindi, per soddisfare al meglio quei bisogni. In mezzo, abbiamo una «idrovora perversa» che succhia risorse attraverso corruzione ed evasione, e impedisce di usarle per un circolo virtuoso che potrebbe realizzare sia rigore finanziario, sia crescita economica, sia equità sociale. E a manovrare quellidrovora perversa sono impegnate cosche mafiose e non, aree grigie tra economia e politica, tresche e connivenze trasversali e diffuse che fanno «sguazzare» oltre mezzo milione di italiani che godono di quei numeri, a danno degli altri. Ecco perché la politica e lintera classe dirigente è chiamata a rispondere a quei numeri. Leconomia, la società, lequilibrio tra le generazioni e tra i territori si reggono solo e contestualmente su tre gambe: rigore, crescita, equità. O queste tre gambe stanno insieme, oppure nessuna delle tre può stare in piedi. Qui si pone la «madre» di tutte le questioni.
Partiamo dal sacrosanto obiettivo del rigore finanziario.
Nel 2011 abbiamo avuto 800 miliardi di spesa pubblica, 740 miliardi di entrate e, quindi, 60 miliardi di deficit che hanno fatto crescere ancor più il debito. Per azzerare il deficit possiamo, o aumentare le tasse a 800 miliardi, oppure tagliare la spesa a 740 miliardi, oppure qualunque combinazione tra le due azioni. Nel Documento di economia e finanza del 18 aprile scorso sta scritto che, tra il 2011 e il 2014, le tasse aumentano di circa 90 miliardi: 60 serviranno ad azzerare il deficit e 30 a finanziare ulteriori aumenti di spesa pubblica, con +31 miliardi di spesa corrente e -1 miliardo di investimenti pubblici. Questo significa «due cose precise». La prima è che leffetto freno sulla crescita rischia di ripetere la scena degli scorsi anni del cane che si morde la coda, e cioè che la minore crescita allontani e non avvicini il pareggio di bilancio, introducendo per di più crescenti iniquità sociali. La seconda (e più grave cosa) è che si tratterebbe di perseguire apparentemente il rigore finanziario, lasciando «intonsi» i 60 miliardi di corruzione e i 120 miliardi di evasione. Questo sarebbe economicamente impraticabile, socialmente insostenibile e politicamente irresponsabile. Sono anni, forse decenni, che voci isolate tentano di ragionare e far capire quei numeri. La necessità di una severa lotta allevasione con rigorosi incroci di banche dati e conflitto di interessi con deduzioni da dare alle famiglie era alla base del Programma di riforma della amministrazione finanziaria, atto presentato in Parlamento nel 1978 dal ministro Franco Maria Malfatti, trentaquattro anni fa.
La Spending Review la cominciò il prof. Nino Andreatta, quando fu ministro del Tesoro nel 1981, trentuno anni fa.
LItalia è in recessione, le difficoltà delle famiglie e delle imprese crescono di giorno in giorno, le tensioni sociali aumentano. Non cè più tempo per i giri di valzer mascherati da «approfondimenti di analisi», in attesa di chissà quale evento salvifico e, magari, anche di un sacrosanto cambiamento di regole europee. Occorre smetterla con i Tolomeo degli ultimi anni e finalmente navigare con le carte di Copernico. Ecco perché il governo Monti, nato per salvare il Paese dal baratro di una crisi irreversibile, «deve» dare la rotta sulle carte di Copernico (tagli di spesa, tagli di tasse, più investimenti, più crescita), proporla al Parlamento e chiamare alla responsabilità tutte le forze politiche. Prima lo fa, meglio è per tutti. E non è forse questo che la gente si aspetterebbe dalla politica? Occorre capire che la gente è sempre più tentata di rifugiarsi nella protesta. Il problema è che la protesta non prospetta soluzioni, salvo quella del dissolvimento dellintero quadro politico, economico e sociale del Paese. È capitato con la Lega tanti anni fa, sembrava capitasse con Idv e Sel fino a pochi mesi fa, ora capita con Grillo e il Movimento Cinque Stelle. Senza risposte forti e tempestive i risultati delle ultime amministrative sarebbero soltanto un piccolo campanello dallarme. Non è difficile pensare come ci troveremmo entro la fine dell'anno con uneconomia che va giù del 2%, con 400.000 disoccupati in più e con 50.000 imprese in meno rispetto a oggi. Quasi per paradosso, avremmo invece motivi veri per essere ottimisti perché tutto, o quasi, è nelle nostre mani.
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