Gli eredi di Giuseppe Verdi se le suonano di santa ragione

Nel bicentenario della nascita del compositore, i suoi discendenti vengono addirittura alle mani per le sorti della storica villa dove visse il Maestro

Gli eredi di Giuseppe Verdi se le suonano di santa ragione

Più intricata della trama de Il Trovatore, più complesso del plot di Nabucco: nemmeno la fantasia del librettista più creativo avrebbe saputo fissare su carta il melodramma che va in scena in questi giorni villa Sant'Agata di Villa Nova d'Arda, dove gli eredi di Giuseppe Verdi, sfiancati da anni di controversie, in attesa che si ritrovi un testamento, non si sono limitati agli acuti, ma sono perfino venuti alle mani. Nell'anno del bicentenario della nascita del Maestro, mentre il mondo fa a gara per ricordare il Cigno di Busseto, i quattro fratelli Carrara-Verdi sembrano non trovare miglior via alle celebrazioni che mettere all'asta la dimora dove Verdi abitò con Giuseppina Strepponi dal 1851. Non c'è Abigaille accecata dalla sete di potere, manca all'appello un Conte di Luna pronto a tutto per riparare il torto subito: i personaggi di questa opera hanno nomi, mestieri, ragioni ed intemperanze da terzo millennio. La «ventottesima» opera che Verdi non avrebbe mai voluto scrivere narra di un'infanzia armoniosa fra le 50 camere della villa, con i quattro fratellini che scorrazzando fra il pianoforte e lo scrittoio del maestro e poi fuori nei sette ettari di parco.

Il secondo atto, o almeno più recente, è di un mese fa: il primogenito Angiolo è stato condannato dal Giudice di Pace per lesioni nei confronti della sorella Emanuela «rea» di essersi avventurata nella villa di cui invece lui si sente l'unico proprietario. I 600 euro di multa per lui oltre ai lividi di lei non sono che la punta di iceberg che, a parte i molti più zeri, nasconde una montagna di incomprensioni. In ogni «melò» che si rispetti c'è un flashback, causa di ogni male: alla morte del padre nel 2001, in mancanza di testamento, si procede ad una divisione per quote di legge. L'armonia del quartetto si spezza in due fazioni. Da una parte Emanuela e una sorella vorrebbero procedere alla divisione e creare una fondazione per gestire la villa come un museo. Diverso l'avviso del fratello e dell'altra sorella che sostengono l'esistenza di un testamento che invece assegnerebbe al solo Angiolo la parte disponibile dell'eredità. I toni si alzano e non manca il colpo di teatro: in tribunale spunta perfino la testimonianza di una loquace zia che ricostruisce il testamento fantasma a favore del «figlio maschio». Nemmeno Azucena avrebbe ricordato di più. Il primo duo di sorelle ricorre in appello e in attesa dell'esito del ricorso e dell'eventuale epifania del testamento, il fratello riesce a strappare all'amministratore del museo della villa un comodato gratuito per insediarsi a Villa Verdi che da allora è off limits a chi non la pensi come lui. Salvo botte.

«Mi dispiace che i nodi vengano al pettine nell'anno del bicentenario della nascita del Maestro», spiega Emanuela Carrara Verdi. La villa, vincolata dalla Sovrintendenza, è ora nelle mani di un pool di periti. Il bene è tutt'altro che... mobile e i poderosi lavori dovrebbero concludersi entro l'estate. Lo Stato avrebbe diritto di prelazione ma se non lo eserciterà la casa andrà all'asta. «L'esatto contrario di quello che ci auguravamo» spiega la signora Carrara Verdi.

A chi finirà la villa del Cigno? Ad un pool di banche, ad una nuova fondazione oppure ad un magnate, magari straniero, col pallino del belcanto che potrebbe chiudere per sempre le porte di Sant'Agata al pubblico dei melomani? Intanto sta per arrivare il contributo di un milione per il Bicentenario e si spera che almeno su come spendere questo gruzzolo siano tutti d'accordo. Per «Forza del destino».

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