L'hanno condannato perché sapeva. Antonio Esposito, il presidente della corte che ha appena condannato il Cavaliere a 4 anni, sfida temerariamente i delicati equilibri fra politica e magistratura e s'infila dritto dritto nel pastrocchio di un'intervista senza precedenti. Le motivazioni del verdetto che giovedì scorso ha squassato l'Italia non sono ancora note, ma Esposito non ha alcun problema ad anticiparle, in verità in modo un po' pasticciato, sintetizzando il senso della sentenza. E così appicca un incendio in cui potrebbe bruciarsi pure lui. Spiega dunque il presidente della sezione feriale: la colpevolezza non poggia sul principio che Berlusconi non poteva non sapere. No, nel processo Mediaset c'è di più: «Noi potremmo dire: tu venivi portato a conoscenza di quel che succedeva. Non è che tu non potevi non sapere perché eri il capo. Teoricamente, il capo potrebbe non sapere. No, tu venivi portato a conoscenza di quel che succedeva. Tu non potevi non sapere, perché Tizio Caio e Sempronio hanno detto che te lo hanno riferito. È un po' diverso dal non poteva non sapere».
Fin qui Esposito che poi chiarisce anche la tempistica del procedimento, al centro delle polemiche nelle scorse settimane per la velocità con cui si è arrivati alla definizione della posizione di Berlusconi. «C'era l'indicazione - precisa Esposito - dell'ufficio esame preliminare dei ricorsi della terza sezione penale delle Cassazione, secondo il quale la prescrizione sarebbe scattata il primo agosto. E quindi a me, come presidente della sezione feriale non restava altro che fissare la data in un tempo non utile ma utilissimo e ravvicinato onde evitare la prescrizione».
Il Mattino pubblica dunque l'intervista esclusiva che fa rapidamente il giro del Palazzo e provoca un terremoto: il Pdl sale sulle barricate mentre l'Anm, in imbarazzo, prova a spegnere il falò. A questo punto, Esposito si accorge di aver esagerato, innesta la retromarcia e addossa la responsabilità del guaio al cronista che ha firmato lo scoop: la frase «Berlusconi condannato perché sapeva, non perché non poteva non sapere», non sarebbe farina del suo sacco. Quelle espressioni, afferma il giudice, «non sono mai state pronunciate nel corso del colloquio avuto con il cronista, rigorosamente circoscritto a temi generali e mai attinenti alla sentenza, debitamente documentato e trascritto dallo stesso cronista e da me approvato».
Una nota che prova a rimediare allo scivolone, ma la frittata ormai è fatta. Il direttore del Mattino Alessandro Barbano, giornalista noto per il suo equilibrio, risponde per le rime al magistrato: «Posso confermare che l'intervista trascrive in forma letterale, logica e sintattica le espressioni così come sono state pronunciate dal presidente Esposito. Non è stata aggiunta neanche una virgola, né qualunque forma di interpretazione. Il testo è letterale». E in serata a conferma il sito del Mattino pubblica l'audio del passaggio più controverso: la ricostruzione di Esposito viene sconfessata.
Il resto è il diluvio di commenti e bordate che partono dal centrodestra. E l'iniziativa di tre consiglieri del Csm che chiedono l'apertura di una pratica su Esposito. Per Mara Carfagna, Esposito è «oltre i limiti. Un togato, ancora di più se della Cassazione, dovrebbe fare della discrezione e del rispetto degli imperativi categorici. Se ciò non avviene, allora tutti sono legittimati a fraintendere». Ancora più duro Luca D'Alessandro, segretario della Commissione giustizia della Camera: «Al di là dei contenuti l'intervista dell'ineffabile presidente Esposito è gravissima». Sulla stessa lunghezza d'onda Fabrizio Cicchitto: «Siamo trasecolati di fronte al presidente di una sezione della Cassazione che fa interviste ai giornali e pasticcia talmente le cose da essere anche costretto a smentirne alcune parti». Ma l'intervista mette in moto anche il Csm. Tre consiglieri - i laici del Pdl Filiberto Palumbo, Bartolomeo Romano e Nicolò Zanon - chiedono l'apertura di una pratica. E sottolineano la «gravità dell'intervista.
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