
Noi, da non liberisti, siamo per le sovvenzioni statali a musei, teatri, editoria (soprattutto ai giornali) e anche cinema. E infatti seguiamo con attenzione il dibattito sui tagli dei finanziamenti pubblici a questo comparto e leggiamo con avidità le interviste dolenti a registi&produttori: occhi piangenti, Occhipinti, «Come faremo?» e Comencini.
Noi, che guardiamo persino i film italiani, siamo preoccupati. Per gli Elii Germani, per la tentacolare casata delle Rohrwacher, per i cinematografari romani da dieci generazioni che di cinema vivono. Ma in particolare sia detto senza ironia per i tecnici, le maestranze, i precari che di cinema sopravvivono.
È vero. Il governo riduce il Fondo per il cinema. Ma che resta più alto di quando lo istituì Franceschini.
Noi siamo per la Cultura. Un po' meno per il reddito di cinemanza. Il grande cinema degli anni '50, '60 e '70 fu fatto da produttori che ci mettevano i loro soldi. Ora, con quelli pubblici, il rischio è vedere il solito film diretto da una donna, scritto da donne, tratto da un romanzo di una donna sulla crisi delle donne, con l'unico maschio queer; oppure un film di registi romani, girato a Roma, con attori romani, che biascicano - o gridano - in romanesco. No, cari cineasti di 'sto paparazzo.
I tagli all'industria del cinema non sono un danno per il Paese. Sono un danno per voi. E poi, forse, dopo, indirettamente, anche per il Paese.«Il valore e il talento lo decide il botteghino», diceva Gigi Proietti. Che era un ottimo attore. Di sinistra.