Alla fine il Cav vota le riforme ma Renzi rischia già di cadere

Alla fine il Cav vota le riforme ma Renzi rischia già di cadere

S enatori alla riscossa, e il governo va sotto al primo passo della riforma. Una strana comitiva che ha unito Lega, Cinque Stelle, Sel, Forza Italia e - dalla maggioranza - il Popolare Mario Mauro (ex ministro della Difesa non rassegnato) ha approvato - 15 a 13 - ieri a tarda sera in Commissione affari costituzionali un ordine del giorno del leghista Calderoli che smentisce su un punto essenziale la linea di Matteo Renzi: il Senato deve continuare ad essere elettivo. Il tonfo è arrivato dopo una lunghissima giornata di tira e molla e trattative, quando sembrava ormai chiuso l'accordo per far approvare il testo base del governo, accompagnato da un ordine del giorno preparato da Anna Finocchiaro, presidente della Commissione, che elencava le modifiche possibili. Oltre al voto di Mauro, decisiva è stata anche l'assenza del “dissidente” Pd civatiano Corradino Mineo.
Poco dopo però, quando si è trattato di votare il testo del governo, la situazione si è ribaltata: con 17 sì e 10 no è passato. Mauro, soddisfatto dello sgambetto assestato al governo che non lo ha voluto, è rientrato nei ranghi. Ma soprattutto sono arrivati i voti dei senatori di Forza Italia: lo stesso Silvio Berlusconi, raccontano, che nel pomeriggio aveva espresso le sue perplessità sulla riforma di Renzi («Non mi pare ci siano le condizioni») a sera ha indicato ai suoi di votarlo. Con un chiaro messaggio: senza di noi le riforme non vanno da nessuna parte perché la maggioranza non regge.
«Approvato il testo base del Governo sulla riforma del Senato. Molto bene, non era facile. La palude non ci blocca! È proprio la volta buona», twitta a sera Matteo Renzi. Intanto sul “dissidente” Mineo si scatena la furia del Pd. «È grave che nel Pd qualcuno si faccia sempre i fatti suoi, senza mai rispettare le decisioni prese», si infuria il senatore Stefano Esposito. Il ministro Maria Elena Boschi però parla di «passo avanti» e di «giornata positiva». Cominciata sotto i peggiori auspici, in verità, quando si erano diffuse delle voci di sue dimissioni. In mattinata la Commissione si è trovata davanti all'impasse, con un dissidio tra i due relatori, la presidente Finocchiaro del Pd e il leghista Roberto Calderoli, che a sorpresa ha presentato un proprio ordine del giorno fiume nel quale riscriveva da capo a piedi le riforme, stravolgendo l'impianto del governo e introducendo anche la riduzione da 630 a 400 degli eletti alla Camera dei deputati (strizzatina d'occhio agli elettori, ovviamente). Poi lo ha riscritto, mantenendo il punto solo sul Senato elettivo. La Finocchiaro è andata su tutte le furie per lo «sgarro», il capogruppo di Forza Italia Paolo Romani ha ironizzato: «Meglio rinviare tutto a dopo le elezioni». Ma il governo vuole un primo voto da esibire alle Europee come prova che sulle riforme si fa sul serio, e il Pd ha tenuto duro. Nel frattempo, Silvio Berlusconi a Matrix avvertiva: «Credo che non ci siano le condizioni per votare il testo base. Quanto al caos al Senato, non è certo dovuto a noi». E in effetti il pasticcio, ieri pomeriggio, si è aperto tutto dentro la maggioranza. Quando Mario Mauro si è sfilato perché giudica «inaccettabile» il metodo seguito dal governo. Senza Fi, la maggioranza in Commissione si regge sul filo, e il voto di Mauro era decisivo.

Per tutto il pomeriggio sono andate avanti le trattative, sia dentro la maggioranza e sia nel tentativo di recuperare Fi, con contatti tra Palazzo Chigi e Denis Verdini. A sera il doppio voto. Mentre il sempre più pessimista Roberto Giachetti twitta: «Caro Matteo Renzi, purtroppo sono stato facile profeta sulle riforme. Fidati di me, andiamo a votare, ma chi te lo fa fare».

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