Roma - Gianfranco Fini ha ufficialmente ammainato un’altra delle sue bandiere: il presidenzialismo. Convinto assertore del principio secondo cui solo i cretini non cambiano mai idea, il presidente della Camera si è riposizionato anche su uno dei suoi cavalli di battaglia. Ma il sospetto è che lo abbia fatto solo per mettere i bastoni tra le ruote a Silvio Berlusconi. Intervistato dal Corriere della Sera , a Maria Teresa Meli che gli chiede che cosa pensi dell’«uscita di Berlusconi»che rilancia l’ipotesi di una riforma in senso presidenziale alla francese, Fini si dice genericamente favorevole («è una proposta sempre condivisa da me e da tanti altri fin dai tempi in cui ero al Msi»), ma solleva molti dubbi sulle reali buone intenzioni dell’ex premier («è difficile sottrarsi al sospetto che si sia trattato di un diversivo rispetto ai temi che sono sul tappeto, oppure di una sorta di apertura della campagna elettorale con l’effetto annuncio»)e soprattutto, al dunque, pone ostacoli talmente tanti e talmente alti da rinviare di fatto il tema quanto meno alla prossima legislatura.
Secondo Fini, infatti, la proposta del Cavaliere arriva fuori tempo massimo. «Anche se il Parlamento lavorando a tambur battente - riepiloga l’inquilino numero uno di Montecitorio- riuscisse ad approvare la riforma entro il 10 agosto, ci vorrebbero poi tre mesi di pausa tra la prima e la seconda lettura, il che vorrebbe dire arrivare a gennaio.
E nelle more dovremmo anche approvare la legge elettorale, la normativa che regola le modalità attraverso cui ci si candida alla presidenza e quello sullo svolgimento della campagna elettorale presidenziale ». Insomma, entusiasmo sotto i tacchi. E non è nemmeno tutto. «Siccome Berlusconi ha detto esplicitamente di voler introdurre in Italia un modello sostanzialmente identico a quello francese - si chiede Fini - è possibile che non si sia reso conto che si elegge il presidente della Repubblica a doppio turno dopo una campagna elettorale e solo dopo l’elezione del capo dello Stato si elegge il Parlamento?». Ciò che per Fini porrebbe un grosso problema: «Berlusconi pensa che Napolitano debba dimettersi anzitempo? Oppure ritiene che, al contrario di quello che avviene in Francia, occorra eleggere il Parlamento prima del presidente? O secondo lui bisogna prolungare la legislatura, stuprando la Costituzione?». Urca, giammai!
E meno male che Fini è presidenzialista.C’è da chiedersi che cosa avrebbe detto se fosse stato un nemico storico del sistema alla francese. Forse si sarebbe avventato alla gola dell’intervistatrice (avviso ai lettori: si scherza).
Ma dov’è finito il Fini che, nel 1994, da rampante leader dell’Alleanza nazionale pronta alla svolta di Fiuggi per diventare più presentabile e affabilmente governativa, ansioso di arginare la deriva secessionista della Lega prima maniera andava in giro ovunque pronunciando il mantra «Non c’è federalismo senza presidenzialismo»? Dov’è l’uomo che nel 1996 riuscì a radunare 5mila fan del presidenzialismo al Palalido di Milano? Ancora nel 2009, salutando le ceneri di An disciolte nel Pdl, Fini ricordò l’eterno sogno ancora in agenda, «il presidenzialismo», da realizzare «anche se non ci può essere un Parlamento messo in un angolo, a cui si chiede di non disturbare il manovratore». Il primo degli«anche se» che hanno portato Fini talmente lontano da se stesso da dover chiedere il documento allo specchio.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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