Un sigaro sulle labbra, a fari spenti, e una toga senza colori. Nessun vessillo politico a sporcarla. Un pezzo di storia della nostra Italietta dilaniata, di un Novecento poco studiato e già forse da troppi dimenticato.
Ecco, c'è, c'era tutto questo in Pierluigi Vigna, ex procuratore nazionale Antimafia. Il suo motto, le raccomandazioni ai giovani giudici che in 79 anni di vita si vedeva passare accanto: «Dialogare con tutti, indipendente da tutti».
Ieri Pierluigi Vigna se n'è andato. In silenzio, in una stanza del Centro oncologico fiorentino Villa Ragionieri. Davanti alla moglie, al figlio, loro davvero compagni, testimoni di un'esistenza spesa al servizio dello Stato.
Un ricordo non può piegarsi a un necrologio. Tantomeno con un'apologia. Allora proviamo a raccontare così il giudice che ha «scheggiato» un pezzo di secolo con inchieste che hanno scosso il Paese. Tra le più importanti degli ultimi quarant'anni: dal terrorismo nero alle Br, dalla P2 al Mostro di Firenze, dalle stragi mafiose fino alla trattativa Stato-mafia (fu il primo a indagare Berlusconi e Dell'Utri e ad archiviare l'inchiesta senza che mai fosse violato il segreto istruttorio). Ritirò la sua domanda alla procura Antimafia quando seppe che Falcone si era già candidato. Da Totò Riina si sentì prendere in giro durante un tentativo d'interrogatorio.
Oggi lo onorano anche i «nemici». «È un grande dispiacere. Ci siamo scontrati duramente, in modo virulento, violento, nell'inchiesta e sul processo sui delitti del cosiddetto mostro di Firenze. Pierluigi Vigna era uno che non demordeva». A parlare l'avvocato del fu Pietro Pacciani, il contadino di Mercatale accusato da Vigna di essere l'autore dei delitti del Mostro di Firenze. «Eravamo amici - ricorda Rosario Bevacqua -. Lui era intransigente, non guardava in faccia nessuno, andava avanti nelle sue convinzioni, impersonava al massimo il ruolo pubblico, di uomo dello Stato».
Anche per questo oggi tanti boss festeggeranno. Fu sempre in prima linea, Vigna, a tentare di arginare l'ondata di crimine organizzato. Ogni tipo di mafia, a partire dagli importatori di droga per andare avanti con gli stragisti, quelli del treno di Natale, il «904» Napoli-Milano, le bombe del 1993, nell'estate in cui la mafia da Milano a via dei Georgofili a Firenze uccideva a caso.
Ma fu sempre in prima linea nel tenere le distanze dalla politica. È di poche settimane fa la polemica con il collega procuratore capo di Torino Caselli. Un botta e risposta sul Corriere della Sera. Vigna sosteneva che «ci deve essere una netta distinzione tra i ruoli in modo che anche i cittadini abbiano ben chiara questa separazione tra magistratura e politica. Altrimenti si può diffondere l'idea che la magistratura abbia degli obiettivi politici e che quindi agisca per favorire o sfavorire questa o quella forza politica». A questo proposito, rispondendo a una domanda, citò l'inchiesta sul presidente della Provincia di Palermo Francesco Musotto «tra i casi emblematici in cui sono stati perseguiti alcuni politici senza che poi ci fosse alcun esito processuale nei loro confronti». Fino all'età di 72 anni Vigna lavorò, una leggina gli aveva permesso di andar oltre la scadenza naturale.
Alla moglie ieri ha scritto anche il presidente della Repubblica. «A lei, gentile signora, ai suoi figli e alla magistratura tutta, che perde una esemplare figura di riferimento, esprimo il mio cordoglio e la mia vicinanza, nel forte ricordo personale di molteplici occasioni di incontro e di collaborazione istituzionale che mi diedero modo di conoscerlo da vicino e apprezzarlo grandemente».
Restano le sue ultime volontà a raccontarci ancora qualcosa dell'uomo. Niente fiori nella camera ardente e al funerale ma opere di bene per la ricerca oncologica.
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