A Nicolò Pollari, ex capo del Sismi, resta l'amarezza di avere pagato con la rimozione da capo dei servizi segreti il suo ruolo in questa vicenda.
A Abu Omar, predicatore islamico con la passione per la jihad contro l'Occidente, resta la rabbia per veder svanire in extremis il risarcimento di un milione di euro a spese dello Stato italiano, che avrebbe fatto di lui il terrorista latitante più ricco d'Egitto. Ma la vicenda giudiziaria e politica che arriva finalmente a conclusione alle 16 di ieri pomeriggio ha una morale chiara, da cui non si potrà non tenere conto in futuro nei rapporti tra poteri dello Stato: c'è una zona in cui la magistratura non può spingersi, neanche se deve indagare su reati assai gravi, ed è la zona che il potere politico sceglie di coprire con il mantello del segreto di Stato.
È la politica, e non la magistratura, a decidere fin dove si stende questo mantello.
È questo il senso della sentenza con cui ieri la prima sezione della Cassazione chiude definitivamente il filone italiano delle indagini sul caso Abu Omar, annullando senza rinvio le condanne che la Corte d'appello di Milano emise un anno fa contro gli uomini del Sismi accusati di avere aiutato la Cia a rapire l'imam, sequestrato vicino alla moschea di viale Jenner il 17 febbraio 2003.
Vengono spazzate via la condanna a dieci anni di Pollari, l'imperscrutabile zar della nostra intelligence militare, e a nove anni del suo energico capo del controspionaggio, Marco Mancini, l'uomo dai mille canali e dalle mille fonti nei posti peggiori del Medio Oriente (è lui quello ritratto sulla scaletta dell'aereo che riportava a casa da Baghdad la giornalista Giuliana Sgrena del Manifesto), e così pure le condanne ai tre agenti operativi accusati di avere cercato di pedinare Abu Omar.
Le condanne vengono annullate, e non ci sarà - come aveva invece chiesto la procura generale - un nuovo processo. La Cassazione recepisce in pieno quanto il mese scorso aveva stabilito dalla Corte costituzionale, che aveva accolto i conflitti di attribuzione sollevati dai governi Berlusconi, Monti e Letta contro l'invasione di campo da parte della magistratura. La Corte costituzionale aveva scritto chiaramente che spetta al potere politico stabilire l'area di applicazione del segreto. E, in un passaggio assai contestato sui blog interni alla magistratura, aveva scritto che anche un rapimento può essere compiuto per fini istituzionali, ovvero per tutelare lo Stato.
È la prima volta che su questo tema cruciale si raggiunge un punto fermo: che potrà risultare indigesto ai cultori del diritto a tutti i costi, e venire apprezzato da chi considera, pragmaticamente, che quello dei servizi segreti è un lavoro che non si può fare in guanti bianchi. Ma è il caso di ricordare che gli 007 italiani imputati hanno finora esattamente sostenuto il contrario di quanto pensano quasi tutti: hanno detto, cioè, che il segreto di Stato non nascondeva la loro colpevolezza bensì la loro innocenza, e che avrebbero agevolmente potuto discolparsi se solo il governo li avesse liberati dal vincolo del segreto.
Ma così non è stato. Segreto, è tutto segreto: l'organizzazione interna del Sismi, i suoi rapporti con le autorità straniere, i suoi contatti con Palazzo Chigi sul sequestro Abu Omar e su altre vicende analoghe.
Segreta rimarrà per sempre l'inchiesta interna ordinata da Mario Monti, quando era presidente del Consiglio, per capire qualcosa della faccenda, e che pare fosse arrivata a retrodatare l'epoca delle avances della Cia sulla faccenda Abu Omar. «Se potessi parlare dimostrerei la mia innocenza in un secondo», aveva detto qualche giorno fa Pollari nella sua intervista al Giornale. Ma parlare non potrà, e - conoscendo il soggetto - in fondo non gli dispiace. Anche se sarebbe interessante capire quali siano gli altri casi in cui, come accennato da Pollari, gli alleati ci abbiano chiesto un aiuto per fare sparire dalla circolazione qualcuno e gli sia stato risposto di no.
Resta, sulla vicenda, la sensazione che a premere per la soluzione raggiunta ieri sia stato anche il Quirinale, preoccupato per le ripercussioni che la vicenda poteva avere sui rapporti tra Italia e Usa.
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