L'invasione di Giorgio. Il finto pacificatore che ha diviso l'Italia

Napolitano ha stravolto il ruolo del Quirinale: né garante né arbitro, fa politica in prima persona. È lui il primo punto di rottura del Paese

Giorgio Napolitano
Giorgio Napolitano

Il Quirinale non è più un colle. Non sta lassù, distante, lontano, fuori dai giochi. È un confine, una frontiera, un solco, una cicatrice, uno spartiacque, una linea di separazione: o di qua o di là. È questo il vero paradosso di Napolitano. Il garante, spacca. Il pacificatore come pomo della discordia. È così, con questo scenario, che si mette piede nel 2014. Osservate. Chi sta dettando i tempi della politica? Lui. Su cosa ci si divide? Su di lui. Più della crisi, più delle riforme, ormai perfino più di Berlusconi. Non c'è destra o sinistra. Qui ormai il primo punto di rottura è tra chi sta con Napolitano e chi pensa che con lui, per uno strano sortilegio, il tempo sia fermo, immobile. Il presidente ha finito per sparigliare le carte, magari senza neppure volerlo. Fatto sta che Napolitano ha portato il Quirinale al centro del villaggio. Solo che quello non dovrebbe essere il suo posto. Non con questa Costituzione. Roma non è Washington e neppure Parigi. Qui i presidenti possono essere custodi, notai, monumenti, arbitri più o meno parziali, vanno ai funerali, controfirmano, suggeriscono, qualche volta mettono il veto, stanno in bilico tra i poteri dello Stato e decidono se e quando sciogliere il Parlamento (l'unica cosa tra l'altro che Napolitano non ama fare). Non sono e non dovrebbero essere mattatori sulla scena.

Cosa è successo? Napolitano ha occupato un vuoto di potere. È quello che accade in politica. Lo ha fatto per necessità, per superare un'emergenza, come supplente, perché sapeva come muoversi, perché è cresciuto e invecchiato nel Pci o per timore che il sistema andasse in mille pezzi. Tutto comincia con la fine del governo Berlusconi. È Napolitano che tratta le condizioni. Il Cavaliere è in grossa difficoltà. La secessione di Fini ha indebolito la maggioranza. La crisi, lo spread, il panico, i vaticini di un'Italia come la Grecia, i sussurri pesanti che partono dal cuore burocratico dell'Europa sono una tempesta politica che spazza via tutto. Berlusconi si fa da parte e Monti diventa la soluzione. Monti il rettore, Monti il tecnico, Monti che dovrebbe essere come Cincinnato, Monti la parentesi. Monti benedetto dal Quirinale. Monti fa qualcosa che Napolitano non si aspettava. Si spoglia del loden. S'immagina politico. Mario di fatto infrange la promessa che Giorgio aveva fatto ai partiti. Non si va a votare perché la priorità è salvare l'Italia dalla crisi, ma vi assicuro che il loden resterà neutrale. Non sarà così. Ma è in quel periodo che Napolitano comincia a allargare i confini del suo ruolo. Non solo è il garante di un patto tra i partiti, ma si pone all'incrocio di tutte le azioni politiche. Fa il regista, smista i palloni, dialoga con Bersani, con Berlusconi, con Monti, con Fini, con Casini, con i sindacati, con gli industriali, con i poteri di dentro e di fuori. È anche un riferimento per l'Europa e per gli Stati Uniti. È una garanzia. Un presidente a fine mandato oltretutto appare molto rassicurante. Non è un problema se va oltre i suoi poteri, tanto tra poco andrà in pensione. Il ragionamento ha una sua logica. Di Napolitano ci si può fidare. È una tentazione che convince anche chi per istinto non si fiderebbe di lui.

L'idea è che si stia vivendo un cambio di stagione fondamentale e il signore del Quirinale abbia le caratteristiche politiche e personali per gestirlo. È sopravvissuto alla prima Repubblica, al crollo del Muro, fino ad arrivare ai confini della seconda: chi meglio di lui? È quello che in molti hanno pensato quando il Parlamento si è incartato nella scelta del suo successore. È così che il dopo Napolitano è Napolitano. Quanto pesa un bis? Forse era questa la domanda cruciale. Il bis pesa tantissimo, soprattutto se non è gratis. Napolitano pone le sue condizioni. È qui che avviene la seconda metamorfosi. Napolitano non è semplicemente il garante delle larghe intese. È qualcosa di più: le incarna. Non contano i numeri. Non conta la tenuta della maggioranza. Non conta se nuovi fatti politici cambiano lo scenario. La sua ragione di vita come presidente è tutelarle il più a lungo possibile. Non è brama di potere. Il Napolitano bis non si fida più della politica. Non crede nella ragionevolezza dei partiti. Sospende. Ferma il tempo. Non fa votare. Fino a quando? Fino alla nuova legge elettorale, oltre la crisi, al di là delle grandi riforme costituzionali. In realtà non si sa. Quando, probabilmente, Napolitano tornerà a fidarsi. Quando la sua parte avrà serie possibilità di sopravvivere al presente. Il suo obiettivo è creare i partiti pilastro della terza Repubblica. È una promessa fatta all'Europa. E la sua parte oggi sono Letta e Alfano, al massimo un Renzi addomesticato (che però ha altri piani). Ma nel progetto di Napolitano c'è una crepa. Il tempo. Il suo governo non supera la crisi e non fa le riforme. È immobile. È un limbo.

Molti italiani temono di essere finiti in quella terra di nessuno che ricorda tanto le storie di Lost. Non sappiamo come siamo arrivati qui e non vediamo il futuro. Eccolo quindi il confine della discordia. A chi spetta la scelta: al governo del presidente o agli italiani? Questa è la grande domanda del 2014.

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