Il Fisco avverte la Fiat «londinese»

Il Fisco avverte la Fiat «londinese»

La decisione di John Elkann e Sergio Marchionne di spostare nel Regno Unito la sede fiscale del nuovo gruppo Fiat Chrysler Automobiles penalizzerà l'Erario italiano? Il presidente Elkann, nell'intervista di ieri al quotidiano di famiglia La Stampa, ha cercato di fare chiarezza: «Pagheremo le tasse - ha spiegato - in tutti i Paesi dove produciamo e vendiamo i nostri prodotti facendo utili (termine da qualche tempo divenuto tabù per le grandi fabbriche italiane del gruppo, se escludiamo Maranello e, in prospettiva, la Maserati di Grugliasco, ndr). Il vantaggio di Londra - puntualizza - è legato a un regime più favorevole per gli investitori americani che speriamo di attrarre con questa fusione».
L'intenzione, dunque, sarebbe soprattutto quella di porre Fiat Chrysler Automobiles al centro dell'attenzione dei grossi fondi americani pronti a seguire Marchionne nella nuova sfida globale, grazie alla convenzione tra Usa e Regno Unito che non prevede il prelievo fiscale sia per i dividendi che dalla filiale Usa raggiungono la sede fiscale inglese, sia per quelli che da Londra raggiungono gli azionisti investitori che Fiat Chrysler Automobiles cerca di calamitare. Secondo il Lingotto, a questo punto, l'ipotesi della furbata non sussisterebbe.
Tra gli esperti del settore, però, c'è chi mette in conto ugualmente una possibile serie di danni per il fisco italiano. «Una sicura e importante perdita di gettito - afferma un fiscalista milanese - si avrebbe se, come spesso capita, il grosso delle prime linee si trasferisse presso il quartier generale estero. In questo caso, infatti, l'Italia perderebbe imposte e contributi sugli stipendi più alti e, considerando il rapporto esistente nel nostro Paese tra la remunerazione del top management e quella di un operaio, sarebbe come perdere il gettito fiscale generato da numerose migliaia di operai. L'azienda invece - continua il fiscalista - a parità di netto garantito al top management, beneficerebbe di un grande risparmio di costi ove, come a esempio nel caso dell'Inghilterra, la tassazione delle persone fisiche domiciliate, ma non residenti, risulta essere molto più bassa di quella del nostro Paese». Un altro studio di Milano sostiene, invece, «che un'ulteriore perdita di gettito si potrebbe avere sui dividendi incassati che sarebbero tassati (per il 5% del loro ammontare) nel Regno Unito anziché da noi».
Il governo, per ora, resta alla finestra, e il ministro delle Finanze, Fabrizio Saccomanni, si limita a dire che il «trasloco» in Gran Bretagna «sarà oggetto di esame e vedremo che tipo di conclusione si può raggiungere. Di per sé - osserva il ministro - non c'è nulla di irregolare in quello che è stato fatto; siamo convinti che Fiat abbia fatto queste cose nel rispetto delle legge vigenti in Italia e in Europa».
Stesso ragionamento da parte di Attilio Befera, direttore dell'Agenzia delle Entrate: «Non posso impedire a Fiat di fare scelte economicamente convenienti per loro. Verificheremo il pieno rispetto delle leggi fiscali italiane. È comunque importante guardare all'operazione industriale nel suo complesso; e siccome c'è libera circolazione dei capitali, dei beni e dei servizi, è un fatto normale». In merito al pagamento delle tasse nel Paese da parte del Lingotto, Befera conclude che «se dopo il trasferimento della sede, Fiat avrà delle stabili organizzazioni e delle società in Italia, queste ultime pagheranno le tasse qui».
A questo proposito, comunque, lo stato dell'arte vede ogni singolo impianto del gruppo essere proprietario di capannoni per i quali viene versata l'Imu insieme alle tasse sulle attività produttive. A cui bisogna aggiungere tutta la tassazione sulle buste paga dei lavoratori.

Il fatto è che da anni le attività produttive di Fiat in Europa e soprattutto in Italia sono in perdita, quindi non producono utili. Nel momento in cui, alla base della svolta in corso, la tendenza si invertisse, ecco allora che la produzione di autoveicoli in Italia tornerebbe a gratificare l'Erario grazie ai nuovi utili.

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