Milano E ad andarci di mezzo sono come al solito i giornalisti. Dalle maglie del segreto istruttorio trapelano una sfilza di atti dell'inchiesta a carico di Roberto Formigoni, che ieri vengono pubblicati sul Fatto quotidiano: e la Procura mette sotto inchiesta i cronisti autori dello scoop. Eppure individuare i responsabili della fuga di notizie non dovrebbe essere una impresa titanica. Il rapporto che ieri mattina finisce in prima pagina sul Fatto è stato inviato dai comandanti della sezione di Polizia giudiziaria della Ps e della Finanza ai tre pubblici ministeri che indagano sul malaffare nella sanità lombarda, non è mai stato depositato agli atti dell'inchiesta e non è mai stato messo a disposizione dei difensori. Insomma, i possibili sospetti si contano sulle dita di un paio di mani. Ma nel comunicato con cui ieri il procuratore Edmondo Bruti Liberati annuncia l'apertura di un'indagine contro i tre cronisti del Fatto, di un'indagine sulla «talpa» interna all'inchiesta non c'è traccia.
Ciò non significa che Bruti non cercherà in qualche modo di risalire all'identità del pubblico ufficiale che ha girato quasi in diretta - il rapporto porta la data del 27 giugno - le carte ai giornalisti. É teoricamente possibile che un'inchiesta-bis venga aperta in futuro, nell'improbabile ipotesi che dall'analisi dei computer o dei telefonini dei tre giornalisti sotto inchiesta, salti fuori qualche traccia utile a individuare la «manina» che ha passato le carte. Ma è una speranza in cui neanche la Procura crede molto, tant'è vero che ieri non ha neanche sequestrato - come a volte avveniva in passato - i computer dei tre giornalisti. I quali pare siano intenzionati questa mattina a proseguire nella pubblicazione, con una seconda puntata delle rivelazioni contro Formigoni.
L'indagine contro, i tre cronisti del Fatto, è stata affidata al procuratore aggiunto Maurizio Romanelli e contempla il reato di pubblicazione di atti coperti da segreto, punito con l'arresto fino a trenta giorni, che può essere sostituito da un'ammenda fino a 258 euro.
Sul Fatto venivano riportati anche un verbale di interrogatorio dell'ex comandante della barca di Piero Daccò, il lobbista amico di Formigoni in carcere dal novembre scorso, in cui il marinaio esprimeva la convinzione che il vero proprietario della barca potesse essere Formigoni; e la registrazione di una conversazione tra il governatore e l'ex assessore Massimo Buscemi, genero di Daccò, dimissionato da Formigoni dopo essere stato incriminato per bancarotta. Ma il pezzo forte è indubbiamente il rapporto, che quantifica in circa nove milioni di euro le spese sostenute da Daccò per Formigoni. La voce più consistente è lo sconto di 4 milioni per la cessione di una villa in Sardegna a Alberto Perego, amico di Formigoni e suo coinquilino nella comunità dei Memores domini dove vive il presidente.
Ieri Formigoni è tornato ad accusare i giornali di «uso reiterato di falsità», ribadendo di non avere ricevuto alcun avviso di garanzia e di essere vittima di un «tentato golpe».
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