
Giorgio Napolitano non sa che pesci pigliare. Pier Luigi Bersani, attonito, ha gli occhi da pesce lesso. Silvio Berlusconi è un pesce fuor d'acqua. E Beppe Grillo prende tutti a pesci in faccia. Rendiamocene conto: stavolta siamo finiti al mercato del pesce, dove tutti urlano cercando di vendere e dove nessuno compra, perché la mercanzia non è fresca e comincia a puzzare. Le elezioni, con i loro risultati strani, mai visti in quasi settant'anni di Repubblica, sono state archiviate da dieci giorni e non si è ancora capito che succederà.
I cosiddetti cronisti politici ogni dì inventano ipotesi, anche le più bizzarre, lasciando intendere di essere bene informati; in realtà sono sprovveduti e sprovvisti di notizie quanto deputati e senatori, cioè gli addetti ai lavori. Chi parla di governissimo, chi di inciucio, chi di grande ammucchiata, chi di governo di minoranza, chi di governo del presidente. La situazione è inedita e consente di proporre soluzioni al problema della governabilità anche a gente che ignora il funzionamento di una piccola amministrazione comunale.
L'esecutivo tecnico non gode di buona popolarità. Ovvio, dopo l'esperienza Mario Monti, appena disastrosamente conclusasi, basta pronunciare il nome di un professore quale probabile premier perché i cittadini facciano gli scongiuri. Non puoi entrare in un bar per un caffè: c'è subito un avventore o due o tre che ti guastano il piacere di berlo chiedendoti un'opinione sulle attuali incertezze nel Palazzo. Rispondi per educazione, ma non riesci a dire nemmeno mezza frase che già ti hanno interrotto. Se ne fregano del tuo parere: vogliono solo significarti il loro.
Durante lo svolgimento dei mondiali di calcio, è noto, qualunque bischero usa improvvisarsi commissario tecnico della Nazionale e discetta di moduli (4-4-2 e 4-3-1-2 eccetera). Nella presente congiuntura politica, gli stessi estemporanei esperti di pedate si sono trasformati d'incanto in politologi e addirittura in costituzionalisti. Ciascuno di essi, se attacca bottone, ti fa una testa così sviscerando idee pazze e ti prega di girarle a chi di dovere: «Mi raccomando, lo dica lei al Berlusca di non mollare». Mollare cosa? «Il torrone».
Hai appena guadagnato l'uscita dal locale, e un Tizio, che ti aveva intravisto con la tazzina in mano, ti blocca sul marciapiede per confidarti che, secondo lui, la questione si può appianare offrendo a Grillo la poltrona di capo dello Stato: «Se togli dai piedi quel matto lì, il suo gregge si sparpaglia, non fa più danni; e il Cavaliere e Bersani si accordano in cinque minuti per spartirsi la torta».
Concetti che sembrano estrapolati da una commedia dell'assurdo di Eugène Ionesco, eppure non molto diversi da quelli circolanti nei talk show televisivi del mattino, del pomeriggio e della sera. La ciacola politica domina in famiglia e negli uffici. L'interrogativo ricorrente è questo: i grillini ci sono o ci fanno? Curzio Maltese, ieri sulla Repubblica, in un lungo articolo descrive i novizi e le novizie del M5S, radunati per prepararsi a entrare a Montecitorio e a Palazzo Madama, come ragazzi dalle facce rassicuranti, pulite, provvisti di lauree autentiche. Saranno anche capaci, costoro? Il giornalista confessa di non conoscerne uno che sia uno: nonostante ciò ha fiducia.
L'esatto contrario di altri colleghi giornalisti, che pur non conoscendo, al pari di Maltese, le reclute grilline, ne dicono peste e corna: sono brutte, sporche, cattive. Chissà da quale tugurio di estremisti provengono? Sono No Tav. Odiano gli assorbenti femminili. Ma che «bestie» sono? Conformismo e razzismo alimentano i peggiori pregiudizi. Pretendiamo di adottare i principi della fisiognomica per esaminare chiunque ci si pari davanti: riceviamo da un fugace incontro una generica impressione e la spacciamo per sentenza infallibile. Nel cogliere il bene e il male siamo tanto rapidi quanto superficiali: abbiamo fretta di dividere il grano dalla pula e procediamo nella selezione senza avere alcuna dimestichezza con i cereali. Figuriamoci con le persone, ognuna delle quali è un mondo a sé.
La verità è che non ci rassegniamo alla confusione determinata dall'esito del voto. Siamo di fronte all'ignoto, disturbati dal fatto che non abbiamo i soliti punti di riferimento su cui basarci per fare previsioni e valutazioni. L'attesa di sviluppi (improbabili) ci snerva e ci fa perdere la trebisonda.
Volevamo il nuovo e ora che ce l'abbiamo ne abbiamo quasi paura.