«Quella di Renzi non è la linea del partito» (Davide Zoggia). «Mi auguro che non ci siano franchi tiratori renziani sul presidente della Repubblica, altrimenti il partito si spacca» (Alessandra Moretti). «Renzi vuole sfasciare il Partito democratico, fa capire che si prepara a fare un accordo con Berlusconi senza passare dal Pd e a farsi un suo partito» (Rosario Crocetta). Dal quartier generale bersaniano, ieri, è piovuto un sinistro cannoneggiamento di pesanti accuse al Rottamatore. Anzi, l'accusa principe che veniva sfoderata ai bei tempi del Pci pre-Muro quando si trattava di delegittimare l'avversario interno: è uno «scissionista», un «traditore», è al soldo del nemico di classe (in questo caso del Cavaliere). Vuole «spaccare il partito», «dice le stesse cose di Berlusconi».
Un cannoneggiamento che i renziani leggono come il tentativo un po' disperato di spingerli verso la rottura: «È chiaro che vorrebbero buttarci fuori, usando ogni cosa che dirà Renzi d'ora in poi come clava da darci in testa per dimostrare che siamo una scheggia impazzita. Ma noi non abboccheremo alle provocazioni, la partita ce la giochiamo dentro il Pd», dice un amministratore molto vicino al sindaco di Firenze. «Fino a pochi giorni fa Renzi veniva esaltato per la sua lealtà - dice il vicepresidente della Camera Roberto Giachetti - Ora esprime un allarme, largamente condiviso dalla gente, e diventa un corpo estraneo. Non vorrei che anche nel Pd si creasse un clima alla che fai, mi cacci?». Lo stesso Renzi, intervistato ieri sera al Tg1, respinge seccamente al mittente le accuse: «Io parlo come Berlusconi? Questi vedono fantasmi dove non ci sono: io dico quello che pensa la gente della strada: decidete cosa fare, ma qualcosa fatelo».
Di certo il clima è da resa dei conti, non a caso la Direzione è stata rinviata alla prossima settimana. Renzi, dopo settimane di cautela, ha innestato la quarta (forte anche di sondaggi riservati che vedono il Pd, con lui candidato, tra i 6 e i 10 punti sopra il Pdl, con un Grillo ridotto al 15%) e ha parlato chiaro: «Basta vivacchiare, la politica sta perdendo tempo. Si sta facendo melina rinviando tutto alla elezione di un capo dello Stato più sensibile a dare l'incarico a Tizio e a Caio». E ancora: «Il Pd si decida: o Berlusconi è il capo degli impresentabili, e allora chiediamo di andare a votare subito; oppure è un interlocutore perché ha preso dieci milioni di voti. Un momento si vagheggia Berlusconi in manette, un altro ci si incontra di nascosto con Verdini: non si può stare così, in mezzo al guado».
L'entrata «a gamba tesa» di Renzi, come la chiama Peppe Fioroni, si spiega a suo parere perché «il sindaco di Firenze ha capito che si sta arrivando ad un accordo su un capo dello Stato condiviso, da Pd e Pdl. E che poi sarebbe difficile che la stessa maggioranza, interpellata da quel capo dello Stato, si rifiutasse di dar vita ad un governo». Un governo di larghe intese, che difficilmente durerebbe solo pochi mesi: «E Renzi rischierebbe di perdere il treno». Quello che Fioroni non dice è che il premier di quel governo non potrebbe essere Bersani (che ieri ha incontrato Mario Monti su governo e Quirinale), che i voti del Pdl non può accettarli.
Quel che pare evidente è che il pressing renziano sta costringendo Bersani a trattare sul Quirinale, perché su un nome di rottura con il Pdl (Prodi, o Anna Finocchiaro che sarebbe la «carta coperta» del segretario) non riuscirebbe a tenere il proprio partito: non solo i 50 renziani, ma neppure gli ex Ppi, i veltroniani, una parte dei dalemiani.
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