Il gatto è l'animale più amato dal Web o, come si dice oggi, è il più virale. Scrive un autorevole editorialista del Guardian Jack Shepherd, che Internet è un gigantesco parco virtuale felino, dove milioni di gattini vi attendono pazientemente con i loro «miao» su YouTube, Facebook o Twitter, quasi fosse di loro esclusiva proprietà. Questo è un fatto e non un'invenzione, ma nessuno è ancora riuscito a capire bene e a rispondere a una semplicissima domanda: perché? Perché ci sono così tanti gatti che popolano Internet? Il problema è che la domanda è sbagliata. Infatti non dovrebbe essere «perché i gatti?» ma piuttosto, «perché non i cani?». E la risposta allora diventa semplice. Perché i cani «ci fanno dentro» in modo troppo forzato. Quando un cane entra in una scatola o si nasconde sotto il piumone o ancora indossa un buffo cappello, è perché sta cercando disperatamente di attirare l'attenzione. È un comportamento che richiede la vostra approvazione e il cane gongola, quando vi strappa un sorriso. Quando invece un gatto fa una di quelle cose, è perché era la cosa giusta da fare in quel momento, almeno per lui.
E di solito lo è. Il suo comportamento è fresco, ingenuo, mai forzato e privo di qualunque preoccupazione per il vostro giudizio più o meno morale. Insomma, il cane è un guitto in cerca dell'applauso, il gatto è l'artista che se non lo riceve non si preoccupa minimamente. Non lo avete capito, tutto qui. È l'arte per l'arte.
Questa, ci concede Shepherd, è una delle tante teorie a supporto del fatto che i gatti sono i re di Internet. Ve ne sono molte altre, ma una è sicuramente intuitiva. Guardate Paperissima, il programma comico di Mediaset, dove si vedono le «prodezze» più strampalate di uomini e animali e poi fate il conto di quanti gatti avete visto all'opera e quanti cani. Non meno di dieci a uno. Sia chiaro, non si vuole qui sostenere alcuna immeritata superiorità del gatto sul cane, ma solo che un gattino alle prese con una delle sue avventure fa più ridere rispetto al cagnolino.
Mettiamoci l'agilità, la capacità di cadere in qualunque modo e non farsi male, la sua innata curiosità che lo porta a esplorare i posti più improbabili, la temerarietà (da piccolo, perché da grande ha più paura di un coniglio), mettiamoci anche una certa sfrontatezza, aggiungiamoci un bel musino rotondo e due orecchiette a puta che lo fanno sembrare un gufetto e anche il cinofilo più partigiano dovrà riconoscere che il comportamento del gattino è più cute come dicono gli inglesi, più tenero, più attraente.
Albert Schweitzer non aveva Internet, ma era solito dire che la sua più grande gioia, quando i malati gli concedevano un attimo di tempo, era guadare i gattini giocare.
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