Premesso che l'unica ostrica della mia vita, trent'anni fa, andai subito a sputarla nel bagno del noto ristorante di pesce dove mi era stata offerta, ammetto d'aver salutato con la più tipica delle espressioni venete - ostrega! - la mostruosa preda pescata da Ivo Righetto nell'Adriatico. Un'ostregona, appunto, non un'ostregheta, del peso di 1,6 chili, nella cui conchiglia bivalve potevano starci comodamente i piedini di Margherita, 4 anni, figlia di Giancarlo Galan, già governatore del Veneto nonché ex ministro dell'Agricoltura, così mi ha assicurato un altro Giancarlo, Saran, finissimo gourmand. Saran ha altresì certificato che l'ostrica in questione era eccellente, «meglio di una chianina», e c'è da credergli sulla parola, visto che collabora con Davide Paolini, il Gastronauta del Sole 24 Ore.
Scrive Ulderico Bernardi nel suo Istria d'amore, appena pubblicato dall'editore Santi Quaranta, che l'Adriatico, seppure impoverito, ancor oggi offre tra le due sponde granseole, tartufi di mare, seppie, calamari, branzini, orate, scampi, datteri, aragoste. Nessuna traccia delle ostriche. Che, del resto, di solito «si trovano negli oceani, normalmente in acque basse», attesta il National Geographic. Eppure Righetto sta sfruttando da vent'anni un fantastico giacimento di Crassostrea gigas, la qualità più allevata lungo le coste bretoni dell'Atlantico, che ha scoperto in mezzo al mare appena oltre la laguna di Venezia, a un miglio e mezzo dalla foce del Piave. «'Na miniera de ostreghe». L'ubicazione viene gelosamente tenuta segreta dall'interessato, ovvio, anche se non si capisce come qualcuno potrebbe fargli concorrenza, giacché per catturare i prelibati molluschi bisogna immergersi fino a una profondità di 17 metri senza bombole d'ossigeno, «vietate dalla legge e soprattutto dalla mia morale: sarebbe una sfida impari, una mattanza».
Righetto ha la fortuna che con i suoi 64 chili di peso per un metro e 65 di altezza riesce a stare in apnea sott'acqua per due minuti e mezzo, «d'estate anche di più». L'Adriatico ce l'ha nel sangue. Nato nel 1965 a Venezia, nel sestiere di Dorsoduro, e cresciuto a Mestre, s'è fermato alla terza media perché fin bambino saltava le lezioni per andare a pescare di nascosto con le reti nel bacino di San Marco o nel porto, «anche sul ponte della Libertà con la bilancia, allora si poteva». E forse è stata la sua salvezza: alcuni compagni di classe diventarono infatti luogotenenti di Felice Maniero, il boss della mala del Brenta. «Veniva a trovarli col Ferrarino. Gente matta, finita male».
Il pescatore di ostriche, incensurato, decise di tirarsi fuori a modo suo dal giro di Faccia d'angelo. A 16 anni fece un figlio con Sonia, «l'ho proprio voluto, diventare padre è stata la mia àncora di salvezza». Si sposò. I genitori di lui, un metronotte e una casalinga, misero a disposizione della coppietta una camera. Dopo Andrea nacque Walter. Poi l'amore finì. «Da 14 anni vivo con un'altra donna, Marinella».
Per mantenere la famiglia senza rapinare banche, l'irrequieto Righetto s'è ingegnato in varie maniere: trasportatore di turisti col motoscafo dello zio fra Tronchetto e Venezia, pugile (a 17 anni è stato campione italiano di pesi gallo e s'è ritirato imbattuto), costruttore di impianti per la Esso, tappezziere, direttore commerciale di un laboratorio fotografico. Finché nel 2004 è finalmente riuscito a trasformare la passione per la pesca in un lavoro stabile. Merito di Claudio Bertino, titolare della Metalco, azienda trevigiana leader nel mercato dell'arredo urbano, che fa firmare le sue collezioni a designer del calibro di Pininfarina e Antonio Citterio.
Bertino, altro patito del mare, aveva acquistato nel 1998 il più grande trabucco dell'Alto Adriatico. Qui lo chiamano bilancia. Ce ne sono 30, di bilance, lungo il corso del Piave. È un attrezzo da pesca formato da una rete di nylon di ben 1.600 metri quadrati, issata con 3 chilometri di cavi d'acciaio sulla foce del «fiume sacro alla Patria», in località Cortellazzo; talmente estesa che due delle quattro antenne che la sorreggono sono piantate in Comune di Jesolo e due in Comune di Eraclea. L'imprenditore ha impiegato sei anni, chiesto 26 diverse autorizzazioni e speso oltre 1 milione di euro per restaurare questa prodigiosa macchina da pesca, che ora fa da sfondo alle sue convention aziendali. L'ha conferita a una società di famiglia, Adamare, e cercava un appassionato che gliela curasse. L'ha trovato in Righetto.
La conferma che si trattava dell'uomo giusto Bertino l'ha avuta quella volta che s'è portato il dipendente in vacanza a Lanzarote, nelle Canarie. Righetto, armato solo di pinne e occhiali, s'è tuffato dal faro di Punta Pechiguera, 20 metri di scoglio nero a strapiombo sull'Atlantico, in un punto dove le correnti superano gli 8 nodi. Entrare in acqua lì è facile, il difficile è uscirne, e infatti non ci riesce nessuno. Il pescatore è sparito tra i flutti, lasciando nell'angoscia i compagni di viaggio. Quando ormai tutti pensavano al peggio, è riemerso dall'oceano abbracciato a quello che sembrava un tappeto di gomma nera. Era una manta. Aveva ingaggiato un corpo a corpo a mani nude col diavolo di mare. Vinto nell'unico modo possibile: «Due dita piantate negli occhi».
Ma con gli scarichi industriali di Porto Marghera ad appena 20 miglia, è sicuro che le sue ostriche siano sane?
«Ho amici che vengono ogni anno da Parigi e Montpellier per mangiarle. L'ostrega no' xe come el péocio (la cozza, ndr) che più l'acqua è sporca e più si riproduce. Ha bisogno di correnti pulite. Infatti nell'estate della mucillagine trovavo le ostriche tutte aperte, morte».
Se ne pescano tante in Adriatico?
«Ma neanche in Bretagna! Da noi ormai sono tutte allevate, sia pure a mare, nella baia di Sistiana, vicino a Trieste, e nel lago di Lesina, in Puglia. In Croazia nel canale che va da Sebenico a Scardona. In Francia nelle lagune di Sète e Montpellier».
Allora lei come ha fatto a trovarle allo stato brado?
«Un mio amico pescatore s'era incagliato con la barca davanti alla foce del Piave. Mi sono immerso e ho visto che le reti da pesca erano impigliate nella carlinga di un aereo precipitato durante della seconda guerra mondiale. Lì vicino c'era il relitto di una nave per il trasporto del carbone affondata negli anni Cinquanta. Tutt'intorno un giacimento di ostriche esteso per almeno un chilometro quadrato. Esemplari bellissimi, dentro i quali arrivo a trovare 3 etti di bistecca. Da allora ogni giorno scendo con i piombi, risalgo con le ostriche, poi torno giù a riprendermi i piombi».
E quante ne cattura?
«Per legge non più di 5 chili al giorno».
Potrebbe trovarci dentro una perla?
«Magari! Ne avrò aperte un miliardo. Manco un microbo ho trovato».
Chi si mangia tutto questo bendidio?
«I clienti che affittano la bilancia per un giorno. Alla fine molti si fermano e io gli cucino il pescato».
L'ex ministro Galan viene qui spesso?
«Due o tre volte l'anno. Di qui i potenti sono passati un po' tutti. Niente nomi, per favore. Galan è compare di nozze di Bertino, il mio datore di lavoro. Gli piace il miglior pesce dell'Adriatico e qui sa di trovarlo».
Ma Galan non è appassionato di pesca d'altura e del tonno rosso?
«Anche. Per quello va in Croazia».
Quanta roba si pesca col trabucco?
«Dipende dalla fortuna. Si cala la bilancia per 12 metri, fin sul fondo, e si lascia lì mezz'ora. Quando la issi, ci puoi trovare dentro branzini, orate, anguille, cefali, volpine, sardoni, passere, lecce, sogliole, mormore, seppie, calamari. Una volta ho pescato una leccia da 29 chili, un'altra un branzino da 14 chili e 8 etti. Con una sola calata è capitato di tirar su 790 chili di volpine, con un'altra 413 chili di mormore. Vengono qui compagnie di amici, pagano dai 600 ai 1.000 euro per il noleggio della bilancia e quello che non mangiano se lo portano a casa ben refrigerato, grazie alla macchina del ghiaccio. Ma può capitare che non prendano niente. In quel caso ci beviamo due ombre in compagnia e ciao».
Pesce di mare nel Piave?
«Il mare entra nel Piave per una ventina di chilometri. I pesci lo risalgono per deporre le uova in acque tranquille, inseguiti dai predatori. Capita persino che entri nel fiume qualche delfino, che ingoia le reti per mangiarsi le sogliole imprigionate. Con le maree calanti, i branzini si mettono controcorrente, restando immobili, e i pesci piccoli finiscono dentro le loro fauci spalancate».
Poi devono a loro volta fare i conti con Righetto.
«Il loro riparo preferito sono le buche del Piave, crateri di 30 metri di profondità provocati dalle cannonate della prima guerra mondiale. Lì dentro l'acqua vortica da far paura. I primi cinque metri è così torbida che sembra notte fonda, devi procedere a palpeta (a tentoni, ndr). Sotto è di un limpido straordinario. Ma non è più il Piave degli anni Trenta, quando fu pescato uno storione da 152 chili. Colpa degli adulteratori del vino. Allo scoppio dello scandalo del metanolo, riversarono nel fiume tutti i veleni che custodivano nelle cantine. Morì ogni forma di vita per cinque-sei anni. Da allora il corso d'acqua non è più tornato come prima. Non che l'Adriatico sia messo meglio. Giapponesi e cinesi fanno strage di avannotti intorno allo Stretto di Gibilterra. A soffrirne sono soprattutto le anguille, che vanno a deporre le uova nel Mar dei Sargassi, fra le Azzorre e le Grandi Antille. Quando i loro piccoli prendono la via del Mediterraneo, diventano condimento per soba e ramen, quegli orrendi spaghetti che si mangiano in Estremo Oriente».
Sta' a vedere che i pescatori italiani sono tutti santi.
«No, no, brutta razza anche quelli. Da quest'anno è cambiata la legge, devono stare a 3 miglia dalla riva, ma prima arrivavano a 50 metri, fino a spiaggiarsi. Solo nel Veneto c'erano più di 3.000 barche, ora con la crisi sono calate, ma continua a non esserci mare per tutti. E poi c'è la disgrazia dei pescatori di Burano e Murano, autorizzati alla cattura degli avannotti per i vivai, che gli vengono pagati 70 centesimi l'uno. Un depauperamento infinito. L'Adriatico vanta il più pregiato pesce del mondo, perché qui la fauna ittica è molto variegata e l'alimentazione dei pesci ne risente, le loro carni sono speciali. Però l'80 per cento dei prodotti che trova al mercato di Venezia proviene dall'estero, soprattutto nel periodo del fermo pesca che va dal 1° luglio al 30 settembre. La roba migliore finisce tutta a Milano».
Se fosse ministro, che farebbe per salvare l'Adriatico?
«Metterei in galera i chioggiotti che usano i ramponi e i rastrelli a motore da 200 cavalli, dragando il fondo marino fino a 25 centimetri e distruggendo tutto il novellame, oppure le turbosoffianti, che trattengono i molluschi separandoli dal fango dei fondali con micidiali getti d'acqua».
Ma le ostriche non sono tra le specie minacciate, a rischio d'estinzione?
«Non mi risulta. Basta pescarle in modo ponderato, lasciando loro il tempo di riprodursi. I mesi migliori sono marzo, aprile, ottobre e novembre. Che cosa vuole che incida Righetto sull'ecosistema? In due anni io non riesco a fare quello che la brasserie Wepler di place de Clichy, a Parigi, fa in due ore. Là ci sono gli apritori di Ajaccio che ogni sera ti scodellano 400 o 500 plateau di molluschi come ridere».
Quanto guadagna con le sue ostriche?
«Chi ha mai pensato di guadagnarci? È lo stesso discorso del branzino di mare: dovresti fartelo pagare almeno 30 euro al chilo. E chi lo compra, se quello allevato in Grecia ne costa appena 4? Infatti il 99 per cento dei branzini che lei trova nei ristoranti è d'allevamento. Non parliamo delle vongole tunisine, regalate rispetto a quelle che si raccolgono nel delta del Po. Vince il prodotto economico. Di soldi in giro non ce ne sono. Fino al 2008 cefali e sardoni erano invendibili, non li mangiava nessuno, ti dicevano che sanno di fango. Ora, con la crisi, vanno via come il pane».
Lavora in perdita.
«Ho la fortuna di lavorare per un mecenate. Questa è l'unica bilancia che ha lo stesso proprietario da quasi tre lustri. Il turn over delle altre è pazzesco, in media ogni due anni cambiano padrone. Tutti pensano di comprare un giocattolo. Non sanno che ogni tre mesi vanno cambiati i cavi d'acciaio, i quali costano 11 euro al metro. Poi basta una sciroccata e ti ritrovi con l'acqua alta fino a 162 centimetri dentro la baracca e l'argine che frana. Un conto è venirci per sport nel week-end, un altro conto è vivere qui 24 ore su 24, come faccio io».
Perché il pesce al ristorante è così caro?
«La catena del freddo è costosa. E ci mangiano sopra in tanti. La logistica dal pescatore alla pescheria comporta almeno cinque passaggi di mano. Al mercato generale c'è l'asta che decide per tutti. Il prodotto devi venderlo entro le 3 del mattino, altrimenti lo butti. In due o tre fanno il prezzo e gli altri sono costretti a stare al loro gioco».
Brutta vita.
«Mi salvo perché c'è un imprenditore che mi stipendia per tenergli da conto la bilancia. Di mare non si vive. Glielo dice uno che dorme solo due ore di pomeriggio, dalle 13 e alle 15, e poi per le rimanenti 22 ore sta dentro il mare a pescare».
(610. Continua)
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