La "giustizia a orologeria" ricompatta la Lega

Bossi, Maroni e Calderoli: "Attacco mediatico-giudiziario a ridosso del voto perché siamo i soli a opporci a Monti"

La "giustizia a orologeria"  ricompatta la Lega

Milano - E anche nelle Lega è scoccata l’ora della «giustizia a orologeria». Perché dopo i giorni delle contrapposizioni e delle faide interne, dei dossier e degli interrogatori avvelenati, il nuovo spartito su cui cantar nuovamente in coro è la teoria del complotto: di magistrati e giornalisti, tutti uniti per affondare l’unica vera opposizione al governo Monti che affama il Paese e non taglia gli sprechi. E così torna la sintonia tra un Umberto Bossi che fa capire di non voler rinunciare a dettar la linea del partito e Roberto Maroni che, pur delfino designato, rivela sempre grande disponibilità ad accettare le indicazioni di quello che rimane comunque «il Capo». E a stonare non è certo Roberto Calderoli. Ciò che sta succedendo «è un attacco politico», ha tuonato l’altra sera Bossi a Crema.

E a Conegliano ieri ha proseguito: «La Lega non è il Partito socialista, il Psi che aveva rubato i soldi e ha preso tangenti. La Lega i soldi li avrà sprecati, ed ora è meglio che venga fuori tutto per ripartire. Nonostante le pietre prese - ha insistito - la testa è dura quindi si va avanti. Dopo la batosta correremo più di prima». Lui stesso. Assicura: «Non posso ritirarmi, altrimenti la gente penserebbe che altri hanno colpe. Io ho fatto la Lega». E sui legami con la ’ndrangheta tuona: «Da noi ci sono solo lombardi e veneti, non ci sono mafiosi».

Maroni, nel suo tour elettorale tra Veneto e Lombardia, punta il dito sulle coincidenze nelle inchieste: «Le tangenti di Finmeccanica alla Lega sono una panzana colossale. Dieci milioni non sono mai entrati», assicura ricordando di aver dato mandato agli avvocati per chiedere «10 milioni a chi ha detto questa panzana, così facciamo pari e patta». E dunque, anche per lui «quello alla Lega è un attacco mediatico senza precedenti», concomitante a un’indagine giudiziaria «iniziata nel 2011 e saltata fuori a pochi giorni dal voto». Riguardo a Finmeccanica le indagini sono di ottobre 2011 e «chissà come mai sono saltate fuori prima delle elezioni. Non voglio pensare male: diciamo che la burocrazia, i tribunali e la lentezza hanno fatto sì che tutto quanto sia stato tenuto nei cassetti per 6 mesi». Ora «ognuno si fa l’opinione che crede, ma di fatto - aggiunge Maroni - questa rivelazione basata su un “ho sentito che qualcuno dice che” e riferita a fondi creati all’estero per finanziare i partiti, è diventata nei titoli del giornali “dieci milioni di tangenti alla Lega”». Secondo Maroni «una cosa vergognosa è un attacco mediatico senza precedenti alla Lega». Toni ancor più accesi per l’europarlamentare Matteo Salvini per cui «l’unica forza di opposizione a un governo fascista è massacrata come neanche nel Ventennio». I soldi? Per Calderoli «all’interno del movimento nessuno sapeva quelle cose lì». Però «si guarda al pelo nel nostro occhio e non alla trave nel loro: noi siamo andati a controllare i nostri conti, abbiamo nominato anche la Kpmg, una società di controllo esterna e risulta che il partito è sano». Poi l’autocritica. «Certo, se avessimo evitato quelle cazzate della Tanzania sarebbe stato meglio».

Ma dopo la protesta, spazio alla proposta. Che per la Lega significa opposizione feroce al governo fatta difendendo la piccola e media impresa dissanguata dalle tasse e da uno Stato che non paga i debiti. E appoggio a chi è alle prese con l’Imu. Il tutto spiegato da Maroni in un convegno organizzato ieri a Milano da Salvini e a cui hanno partecipato Oscar Giannino, il prossimo numero uno di Confindustria Giorgio Squinzi e il sindaco «arancione» Giuliano Pisapia. Che alla Lega non chiude la porta: «Se su battaglie giuste c’è possibilità di unità di intenti e d’azione, credo che sia dovere di un amministratore perseguirle». Microfono a Maroni che per il «Lega Unita Day» del 1° maggio a Zanica (Bg) anticipa la proposta del Carroccio ai Comuni per «disdire il contratto con Equitalia, assumendoselo in proprio o affidando il compito a un altro ente». Passo già fatto dai sindaci di Calalzo (Belluno), Morazzone (Varese) e Vigevano (Pavia) e secondo tempo della già annunciata «protesta fiscale» sull’Imu.

Tassa ingiusta, spiega Maroni, «già abolita quando noi eravamo al governo con Berlusconi perché colpisce la prima casa, un investimento affettivo e non certo speculativo degli italiani». Poi la nuova frontiera.

Basta Baviera o Catalogna, il federalismo leghista ora si declina secondo il «modello Friuli», dove per il Patto di stabilità i Comuni si regolano con la Regione e non con lo Stato. Il Friuli che trattiene la maggior parte delle tasse, evitandole di «versarle nel calderone romano dove finiscono negli sprechi e non in investimenti».

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