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Governo, Enrico Letta è premier

Dopo 56 giorni di stallo, Napolitano nomina il nuovo premier: "Ora larghe intese". Amato bloccato dal niet della Lega Nord. Adesso il Pd dovrà fare i conti con le divisioni interne. E Speranza già minaccia di cacciare dal partito chi non voterà la fiducia

Governo, Enrico Letta è premier

Ancora poco e l’Italia avrà un governo. Ci sono voluti 56 giorni per sbloccare lo stallo politico in cui è piombato il Paese. Questa mattina il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha affidato l’incarico a Enrico Letta che, secondo la formula di rito, ha accettato con riserva. Stoppato dai veti della Lega Nord, Giuliano Amato esce dalla corsa per Palazzo Chigi. "Ho accettato sentendo sulle spalle una grande responsabilità perché questa situazione inedita e fragile non può continuare - ha spiegato il vice segretario piddì - il Paese sta aspettando un governo". Adesso gli occhi sono puntati sui nomi dei ministri che andranno a comporre un esecutivo che, però, non dovrà "nascere a tutti i costi" e che dovrà essere votato al "servizio al Paese".

Dopo una lunga notte di riflessione, Napolitano ha deciso di puntare su Letta per la guida di un governo di larghe intese capace di mettere insieme la maggior parte delle forze politiche che siedono in parlamento: "Si è aperta la strada alla formazione del governo di cui ha urgente il paese, una formazione troppo lungamente attesa dal paese". Questa è la sola prospettiva possibile: una larga convergenza tra i partiti che possono assicurare la maggioranza e dai quali non ci sono state pregiudiziali sul nome di Letta. A questo punto quello che Napolitano e tutti gli italiani si aspettano è la formazione di un esecutivo forte e duraturo in grado di mettere una pezza ai disastri fatti dai tecnici e attuare le riforme necessarie ad ammodernare il Paese. Già domani avranno inizio le consultazioni alla Camera per formare il nuovo esecutivo. L'obiettivo è fare in fretta in modo da sciogliere la riserva al più presto. "Il mio grande impegno sarà a far sì che da questa vicenda possa uscire una politica italiana diversa con riforme istituzionali per ridurre il numero dei parlamentari, cambiare il bicameralismo e una nuova legge elettorale", ha assicurato Letta ponendo, però, l'emergenza lavoro al primo posto. Adesso diventa fondamentale la collaborazione che dovrà essere garantita dai partiti.

Fino a ieri sera in pole position per la carica di premier c'era il Dottor Sottile, nonostante i ripetuti niet dei lumbard. Poi qualcosa è cambiato. Secondo i rumors che girano in ambienti democrat, il Pd si sarebbe presentato dal capo dello Stato con una sorta di mandato in bianco senza, però, mancare di mettere alcuni paletti: nulla da obiettare su Amato, che era appunto in cima alla lista di Napolitano, ma occhio a dare anche segnali all’opinione pubblica. Ragionamento che Napolitano aveva appuntato segnandoli vicino a quelli che invece spingevano per la nomina di Amato, dettata dalla necessità di puntare su una figura di esperienza che rassicuri cancellerie e mercati. Letta non è certo un nome che spaventa gli ambienti finanziari: per quanto giovane, ha già diverse esperienze di governo, prima come ministro, poi come sottosegretario alla presidenza del Consiglio con Romano Prodi. Napolitano ha soppesato le due ipotesi preferendo, infine, non puntare su un politico (Amato) che rischiava di dividere ancor prima di insediarsi a Palazzo Chgi. Nelle ultime ore, il segretario leghista Roberto Maroni ha rinnovato il proprio "no" ad Amato. "Abbiamo una preclusione nei confronti di un governo Amato - hanno spiegato i lumbard - ma se dovesse nascere un governo politico non guidato da lui non è detto che la Lega non vi partecipi".

Adesso, però, resta un grosso punto di domanda sul comportamento che terrà il Partito democratico. Come ha ribadito ieri sera lo stesso Letta al termine della consultazione al Colle, i democrat faranno quello che deciderà il capo dello Stato. Per il momento, nell'infuocata direzione di partito, nessuno ha avuto il coraggio di evocare la parola "scissione". Anzi, persino i giovani turchi sono accorsi a sostenere la candidatura di Matteo Renzi. "Dove sta scritto che chi diventa minoranza qua se ne debba andare dal partito? Qualunque cosa esca da questa direzione io farò quello che decide il partito - ha spiegato ieri Dario Franceschini - non è che chi vota contro qua esce dal partito, ma il voto di fiducia non è un voto di coscienza, difficile immaginare che c’è un pezzo di partito all’opposizione e un pezzo al governo". Insomma, ognuno può esprimere la propria posizione, poi però vanno rispettate le decisioni del partito. Linea che, dopo la bocciatura di Franco Marini e l'affondamento di Prodi, i vertici piddì difficilmente riusciranno a far rispettare. Tanto che nelle ultime ore il capogruppo alla Camera Roberto Speranza è arrivato a minacciare: "Il voto di fiducia non è un voto di coscienza, ma un voto che determina l’appartenenza al partito". Insomma, chi vota contro verrà messo fuori dal partito. Al di là della fiducia al nuovo governo, il peggio per il Pd deve ancora venire. La mossa dei renziani di sostenere il sindaco di Firenze come possibile premier fa presagire gli scontri che ci saranno al prossimo congresso. La candidatura di Renzi è stata ipotizzata ieri da diversi big del Pd e, appunto, dagli stessi giovani turchi. Renzi non vorrebbe fare il segretario, ma se nasce un governo le elezioni slittano e il sindaco non vuole ritrovarsi con un altro segretario Pd che rivendica la premiership.

Per questo Renzi sta valutando la possibilità di candidarsi alla guida del partito.

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