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Il governo lampo non c'è già più

I veti incrociati e le rivendicazioni rallentano la corsa di Renzi: il nuovo esecutivo può slittare a sabato

Il governo lampo non c'è già più

Roma - Il primo giorno di Pierino a Palazzo è una felpata sarabanda di delegazioni impettite e regalini beneauguranti, e abbracci fasulli come facce d'ottone. Il massimo della trasgressione è la (scontata) defezione dei Cinquestelle; l'apogeo dello strappo al cerimoniale, del contributo alla beatificazione dello stil novo renziano sta nell'iniziale spaesamento del premier incaricato tra i corridoi, per poi finire in ascensore con due giornaliste pie' veloci. «Very dangerous», la battutina che rompe l'imbarazzo (Berlusconi è un'altra cosa, naturalmente).

Il succo politico arriverà soltanto a fine serata, dopo una pausa pranzo frugale e senza scorta, pare santificata da un risotto in bianco nei pressi dell'albergo, di un'ora e venti minuti. Tra una pausa e l'altra, in attesa di Angelino Alfano, le telefonate che pure contano per arrivare a fine settimana all'epilogo di questo blitzkrieg, con il giuramento magari sabato mattina e la fiducia slittata a metà della prossima settimana. Con la delegazione del Nuovo centrodestra, che arriverà soltanto alle 19, si cerca la rassicurazione finale per partire senza troppi sottintesi e malintesi. Pronti, gli alfaniani, a farsi giunco persino sulle tre poltrone ministeriali (Alfano potrebbe finire vicepremier, la Lorenzin restare alla Salute e Lupi alle Infrastrutture), pur di portare a casa la pelle. Il nodo della giornata è lì, nel terrore di non reggere alla terribile morsa Renzi-Berlusconi. Alfano fa melina, il tempo gioca per lui gli hanno consigliato Colà dove si puote. E così chiederà un vertice di maggioranza per oggi che sottolinei la sua indispensabilità. Vuole rassicurazioni sulla legge elettorale, da allontanare e modificare legandola all'intero processo di riforme istituzionali (dunque patto di legislatura pieno), e di tener conto dell'esigenza di visibilità del Ncd. Di far sentire «la nostra voce», dirà davanti alle telecamere, e farsi interprete di soluzioni programmatiche a volte comuni con Forza Italia. Così parla soprattutto di cambiare il Jobs Act (no al contratto unico che, con la permanenza dell'articolo 18 si tradurrebbe in una gabbia per le imprese, dicono, e più sgravi fiscali) e di non calcare la mano sulle questioni dirimenti: ius soli e coppie di fatto. Renzi, coadiuvato dal fidatissimo Lorenzo Guerini e da Graziano Delrio, ascolta e prende nota. Le questioni programmatiche gli sembrano pretesti per alzare il prezzo. Il suo volto non promette nulla di buono, al di là di un po' di battutine iniziali.

Il messaggio del premier incaricato, in effetti, era arrivato ad Alfano già prima dell'incontro. Un altolà a non tirare troppo la corda: io sono l'ultima spiaggia del Paese e posso anche andare alle elezioni, tu Angelino no. Renzi si gioca tutto ma avendo quella che chiama un'«opzione di riserva», Alfano non ce l'ha (questioni di quid a parte). Un drammatico ricorso alle urne in una situazione del genere soffocherebbe il bambinello nella culla. È per questo che il capo del Nuovo centrodestra, forte dell'appoggio del Quirinale, non ci sta a farsi mettere nell'angolo e ha preteso di allungare i tempi della crisi. Cosa che Matteo non ha affatto gradito; ma se nell'incontro di ieri alla fine è prevalso il «senso di responsabilità» di entrambi non è detto che lungo la strada sgambetti e dispetti non possano arrivare quando meno te lo aspetti.

D'altronde il segretario del Pd non vive «complessi di subalternità» nei confronti di nessuna delle aree politiche. Pronto a farsi laburista e portare finalmente il Pd nel gruppo del Pse, riceve plauso e incoraggiamento dal tedesco Martin Schulz come dall'inglese Ed Miliband, per poi accogliere da Gianni Cuperlo il documento della minoranza pidì, che chiede una forte politica di investimenti anti-disoccupazione. Ma nel contempo capace di portare Berlusconi nella sede del Pd e di sfidare ogni teoria sulla «cordiale entente». Infine deciso a occupare tutta la scena anche al centro - meno Casini e più Scelta civica - tanto da recepire suggerimenti da Tabacci e Pisicchio, che gli dona il suo «Prontuario per il Perfetto Politico».

Matteo gongola, scherza e si diverte, mentre l'Ego, ancora una volta, gli sussurra: «Non ne hai affatto bisogno».

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