Roma - Obiettivo 5 miliardi. «Per iniziare», dice Saccomanni. È questo il target che il ministero dell'Economia si è prefissato con la privatizzazione del 40% delle Poste, annunciata a Davos dal ministro.
L'operazione si dovrebbe concretizzare entro 6 mesi, ha ricordato nei giorni scorsi in Parlamento Antonio Catricalà, viceministro allo Sviluppo economico. Vale a dire, a ridosso dell'inizio del semestre di presidenza italiana dell'unione europea. E con la cessione del 40% di Poste il governo conta di completare quasi per intero la cessione di asset pubblici il cui ricavato è destinato alla riduzione del debito. Nel complesso - secondo i piani del governo - nel 2014 dovrebbero essere ceduti patrimoni per complessivi 12 miliardi.
I 5 miliardi attesi dalle Poste corrispondono ad una riduzione del debito pubblico pari allo 0,3%. Da qui, forse, la precisazione di Fabrizio Saccomanni che la cessione del 40% è solo l'inizio. «Iniziamo con il 40%, poi vediamo».
Da un punto di vista operativo, l'operazione dovrebbe essere articolata attraverso il ricorso allo strumento dell'Ipo (acronimo anglosassone che sta per «offerta pubblica iniziale»). Vale a dire, la società verrà quotata e contemporaneamente collocata sul mercato. Il 5% sarà riservato ai dipendenti.
Inizialmente, però, il ministero dell'Economia conta di cedere il 30% e solo successivamente un altro 10%. Quota, quest'ultima, che potrebbe salire in funzione della risposta dei risparmiatori. Ai 5 miliardi attesi si è arrivati in funzione del valore attribuito a Poste nel 2010. All'epoca, il ministero tornò in possesso del 35% della società. Un pacchetto che qualche anno prima era stato «trasferito» alla Cassa depositi e prestiti.
Per determinare il prezzo di quel 35% fu necessario assegnare un valore commerciale a Poste. Deutsche Bank lo stabilì in 9,7 miliardi, Goldman Sachs in 10 miliardi tondi. Considerato che, nel frattempo, Poste verosimilmente sono cresciute, grazie al buon andamento di Poste-Vita e della diversificazione nella raccolta di risparmio, oggi il valore complessivo potrebbe aggirarsi intorno ai 13/15 miliardi (ma dovranno stabilirlo nel dettaglio le banche che cureranno il collocamento). Da qui, il calcolo di raccogliere 5 miliardi dalla cessione del 40%.
Nel 2012, controllata al 100% dal ministero dell'Economia, la società ha fatto registrare utili per un miliardo. Se non venisse ceduto il 40%, in cinque anni il Tesoro avrebbe le stesse risorse attese dalla privatizzazione. Con un particolare. Gli utili delle società controllate vengono utilizzate per la riduzione del deficit. Mentre i proventi delle privatizzazioni confluiscono in un Fondo («ammortamento titoli») utilizzato dal Tesoro per la riduzione delle emissioni; e, quindi, del debito.
E il governo ha oggi bisogno di ridurre con maggiore velocità il debito pubblico, visto che - secondo la legge di Stabilità - il deficit di quest'anno scivolerà al 2,5% del Pil. Mentre il debito, nonostante il dato di novembre, rischia di sfiorare quota 134% della ricchezza prodotta in un anno in Italia.
L'annuncio di Saccomanni davanti a una platea come quella di Davos sembra poi destinato a preparare il terreno per la visita a Bruxelles che Enrico Letta ha in programma mercoledì prossimo, 29 gennaio.
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