LA GRANDE FUGA

La targa sotto il campanello annovera una ventina di società. Nello studio al secondo piano di un palazzo anonimo alle spalle del lungolago, il superconsulente che si muove nel triangolo Milano-Lugano-Montecarlo fa un conto rapido su un foglio fitto di cifre: sono gli stipendi versati da una ditta lombarda che medita di trasferirsi in Ticino. La prima colonna riporta il costo aziendale in Italia, la seconda oltreconfine: in Svizzera il risparmio supera il 20 per cento. Le altre due elencano il netto percepito dal personale, che nell'ipotesi ticinese è più alto. «Vede? Se questa impresa traslocasse avrebbe costi minori e i dipendenti guadagnerebbero di più». Possibile? «Si applicano meno tasse sia su chi produce sia su chi lavora. E le autorità cantonali fanno ponti d'oro per i nuovi venuti».
Risultato: cresce il numero di italiani che guardano al Ticino. Imprese in crisi ma anche in buona salute, disoccupati, neolaureati, consulenti finanziari, esperti di leggi fiscali internazionali, ereditieri, titolari di grandi patrimoni. C'è di tutto nell'esercito che fugge per l'«effetto Monti». Fuga dal fisco vorace, da uno stato indebitato e ingovernabile, da una pubblica amministrazione vessatoria, dalle rigidità del mercato del lavoro. È un fenomeno diverso da quello che induce i ricconi francesi, come il finanziere Bernard Arnault o l'attore Gérard Depardieu, a traslocare in Belgio, appena oltre il confine, per sottrarsi alla supertassa voluta dal presidente Hollande. Dall'Italia si scappa indipendentemente dal patrimonio.
Secondo l'Ufficio federale di statistica, nel 2001 gli italiani residenti in Ticino erano 46.385. Per un po' il dato è rimasto stabile ma dal 2007 ecco l'impennata: ogni anno, nonostante lo scudo fiscale di Tremonti, un migliaio di italiani in più fino ai quasi 51mila a fine 2011, e in questi mesi sono aumentati ancora. Aggiungiamo i 55mila che fanno la spola tra Lombardia, Piemonte e Canton Ticino, manodopera frontaliera a basso costo che non cessa di crescere.
Negli uffici di una fiduciaria di via Nassa, l'elegante strada del lusso a Lugano, un consulente milanese («no name», chiede nella migliore tradizione elvetica) spiega i perché della fuga. «Qui un barista prende 2000 franchi il mese, circa 1700 euro. Gli italiani cominciano a lavorare anche negli uffici pubblici. Il ceto medio-superiore invece si sposta per comprare case e ville di grande pregio: è una clientela emergente, rafforzata dai nuovi investitori russi, che non si spaventa dei 30-40mila franchi al metro quadrato chiesti per appartamenti ristrutturati in palazzi di fine Ottocento sul lungolago. Qui il mattone non perderà mai valore, il fisco è trasparente e leggero, la riservatezza garantita. E non dimentichiamo i cosiddetti «globalisti», proprietari di grandi patrimoni che contrattano con le autorità un'aliquota fiscale onnicomprensiva».
La convenienza per le aziende è documentata dal successo del Progetto Copernico gestito dalla Camera di commercio di Lugano che spiana la strada agli imprenditori. Oltre un centinaio di ditte si sono trasferite negli ultimi anni. Nomi famosi come il Riso Gallo, che ha aperto una sede a Balerna. Storie di successo come la Geomag, che produce un gioco di costruzioni da realizzare con barrette magnetiche premiate in Usa come «classic toys», nata in Sardegna, trasferita a Novazzano per evitare la chiusura e risollevata da un altro tracollo da manager italiani. Stabio, altro comune di frontiera dove uno dei principali contribuenti è la VF (Timberland e North Face), è zona industriale tricolore.
Per aprire un'attività in Ticino bastano 40 giorni e duemila franchi di spese burocratiche. Le tasse non raggiungono il 30 per cento. Nelle zone di confine arriva una richiesta alla settimana di ditte italiane che vogliono trasferirsi. Ma per installare una fabbrica occorrono la sede giusta, un tipo di produzione adatto al territorio e la capacità di gestire il personale. Le agenzie di lavoro sono sommerse di curriculum italiani, a conferma che la Svizzera sta diventando un eldorado per tutti, non solo l'esclusivo paradiso dei ricchi. Un agente immobiliare di Lugano che amministra condomìni rileva un «boom» di affitti anomalo in una città dove si compra per mettere il denaro al sicuro: «Ormai i nuovi svizzeri sono gente normale, che non ha grossi capitali ma cerca lavoro, stabilità politica e certezze per i figli. Alle quattro scuole private con insegnamento in italiano (Istituto da Vinci, salesiani, steineriane e Scuola americana) non c'è più posto».
Giacca e cravatta d'ordinanza, Giovanni è a Lugano da un mese. È di Cantù, laureato, lavorava a Milano come esperto informatico in una società di servizi per un colosso bancario. Lo stipendio era a rischio. «Sono stato contattato da un istituto svizzero tramite Linkedin, un social network dove avevo pubblicato il curriculum; ho fatto un colloquio ed eccomi qui. L'affitto è sui livelli milanesi, la vita è più cara, ma sul mio stipendio le trattenute sono solo del 10 per cento. A Milano ero confinato nell'ambito tecnico, qui mi occupo anche di risk management, allargo gli orizzonti, posso accrescere la professionalità. La gente vive meno angosciata, gli uffici pubblici rispondono, non si fanno code alle Poste: in Italia sono tutti arrabbiati. C'è ordine e si vive civilmente con gente di tante nazionalità: i kebab non sono gestiti da clandestini disperati ma da rifugiati politici che hanno ottenuto asilo».
Francesco vive invece sul Ceresio da 10 anni con moglie e figli. Anche lui lavorava a Milano e si è trasferito armi e bagagli dopo aver risposto all'inserzione di una banca elvetica. «Lavoro meno e guadagno di più. Lugano è una città adatta alle famiglie, è piena di verde, d'estate ci si tuffa nel lago, in autunno si va a funghi e d'inverno la montagna è vicina. In banca ho avuto mansioni diverse con un percorso ampio e impossibile in Italia. Qui la crisi si sente meno, anche se si teme per i nuovi accordi sulle transazioni di capitali. In questi mesi vedo sempre più gente disposta a fare qualunque lavoro per una paga inferiore al minimo sindacale svizzero».
«Anche se ti possono licenziare da un mese all'altro - spiega la responsabile (italiana) di un'agenzia di impiego temporaneo - e la protezione sociale è minore che in Italia, il mercato del lavoro gira e offre più opportunità. Sulla carta sei meno garantito, ma in pratica è meglio. Sei più responsabilizzato. L'Ufficio cantonale per i disoccupati li obbliga a seguire corsi di formazione e un consulente li segue nella ricerca. Controllano perfino se hai mandato i curriculum, altrimenti niente sussidio».
Se sbagli paghi, ma se sei volenteroso trovi. L'opposto che in Italia. Alla domanda se conoscono qualcuno che sia ritornato indietro, la risposta di Francesco e Giovanni è la medesima: una risata. I problemi non mancano. Nei partiti locali cresce l'insofferenza per i frontalieri che intasano le strade cantonali.

La sinistra ha appena ottenuto la possibilità di votare un referendum (si terrà entro due anni) per eliminare il privilegio di un fisco a forfait per 5000 milionari «globalisti» della Confederazione.
Ma il Ticino resta il sogno proibito di tanti connazionali. Un pezzo di Lombardia governato come si dovrebbe.

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