Grecia, in cassa appena 2 miliardi. Bastano solo fino al 20 luglio

Grecia, in cassa appena 2 miliardi. Bastano solo fino al 20 luglio

Salgono, spinti verso l’alto come un palloncino gonfiato da tensioni, paure, preoccupazioni. Con l’asse dell’instabilità tornato a inclinarsi pericolosamente dalla parte dell’Italia, al punto che il Wall Street Journal non esita a definire «moribonda» la nostra economia, anche i rendimenti dei Bot esprimono il prezzo salato che il Tesoro deve pagare alla crisi. Giusto un mese fa, il più evergreen tra i nostri titoli di Stato veniva collocato a un confortante 2,33%: all’asta con cui ieri il ministero di via XX Settembre ha emesso bond a un anno per 6,5 miliardi, i tassi hanno invece sfiorato un meno rassicurante 4% (3,972%), il livello più alto dall’inizio dell’anno.
Nulla di inatteso, considerate le turbolenze che dall’inizio della settimana hanno investito come un Tir in corsa l’intero made in Italy finanziario. Su Piazza Affari il ciclone si è solo attenuato, e dopo il calvario ribassista di lunedì scorso anche ieri la Borsa è incappata in un’altra giornata tesa che ha fatto scivolare il listino di un ulteriore 0,65%. Ennesimo calo, ennesima seduta da maglia nera, nonostante lo spread Btp-Bund sia rimasto sostanzialmente invariato a 473 punti. Il bersaglio siamo noi, anche se altri se la passano decisamente peggio. La Grecia, pronta ad affidare domenica il proprio destino alle elezioni più delicate nella sua storia millenaria, ha in cassa appena 2 miliardi di euro, quattrini appena sufficienti per pagare stipendi ai dipendenti pubblici e pensioni fino al 20 luglio. Nel frattempo, i bancomat ellenici vengono svuotati dai continui prelievi: da una media di 100 milioni al giorno, sarebbero arrivati a 500, forse 700 milioni. Il ritorno alla dracma spaventa il 70% dei greci, ma la «Grexit» avrebbe «impatti indiretti e gravi anche su Italia e Spagna», afferma Fitch in un rapporto. Con il panico nel Paese ellenico che cresce come una marea, con la prospettiva di dover chiedere una terza tranche di aiuti (via percorribile solo se il nuovo governo appoggerà nuove riforme), c’è chi come il leader del partito di centro-destra Nuova Democrazia, Antonis Samaras, è convinto che i cambiamenti politici in Europa possano portare a una rinegoziazione del piano di austerity.
Speranze destinate a rimanere tali se le granitiche idee tedesche sull’austerity non verranno rivedute e corrette. Berlino sa bene che il G20 della settimana prossima in Messico fornirà l’occasione a molti leader stranieri per sferrare un attacco all’ultra-rigorismo. Non a caso, Barack Obama ha alzato ieri il telefono per mettersi in contatto con il presidente francese, François Hollande, e con quello dell’Ue, Herman Van Rompuy. Un doppio colloquio che potrebbe essere servito per preparare un piano d’azione comune in vista del vertice di Los Cabos. L’irritazione nei confronti di Angela Merkel aumenta di giorno in giorno, ma il rischio, ancora una volta, è quello di un’Eurolandia indecisa a tutto. «Non sono sicuro che in tutte le capitali l’urgenza ad agire data da una crisi sistemica sia pienamente compresa», ha ammonito il presidente della Commissione Ue, Josè Manuel Barroso. Convinto che senza una maggiore integrazione nelle politiche nazionali sia impossibile il varo degli Eurobond.


Ieri l’Europarlamento ha dato il suo via libera al cosiddetto «Two-pack», i due regolamenti per rafforzare la governance economica. Bocciato, però, l’emendamento che chiedeva l’introduzione della golden rule, ossia lo scorporo degli investimenti produttivi dal computo del deficit. Ancora una volta, ha vinto la Germania.

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