Beppe Grillo non si stanca di fare campagna elettorale e per attaccare i suoi avversari scomoda addirittura la grande Storia medievale. Parla ancora di "Peste rossa", dipinta come una variante della grande epidemia che spazzò l'Europa nel Trecento.
Oggi come allora, spiega il leader dei Cinque Stelle in un nuovo post sul suo blog, i rimedi opposti alla malattia erano sono inefficaci palliativi: ieri la caccia agli untori e la quarantena dei malati, oggi gli ottanta euro di Renzi. Sintomi, travestiti da cure, di un'epidemia esplosa con l'avvento del "Supercapitalismo" (scritto con la S maiuscola) e della finanza. Epidemia che in Italia ha mutato il proprio Dna trascolorando dal nero al rosso, cartina di tornasole delle cattive politiche che Grillo imputa alla sinistra.
"Una peste più subdola, insidiosa, che si è qualificata come cura invece che malattia - scrive il comico sul proprio sito - Un farmaco miracoloso venduto da imbonitori del 'lavoro, lavoro, lavoro'". Le conseguenze che si lascia dietro sono devastanti, come per ogni pestilenza che si rispetti: "deserto della produzione, morte dell'innovazione, cemento come idea di futuro e massacro dell'ambiente".
Grillo non teme di fare nomi precisi e così parte l'elenco dei "luoghi della Peste rossa, dove si possono ammirare nuove Hiroshima nostrane": Mps, Olivetti, Vado di Sorgenia e Lucchini di Piombino, Ilva di Taranto e Tav in Val di Susa.
Gli untori? Prevedibilmente, Grillo li indica nel Pd e nelle cooperative rosse, che oltre a propagare il morbo sono "permalosi e si qualificano come fascistelli".E così il tour elettorale diventa l'occasione per "recarsi in raccoglimento su questi luoghi martoriati".
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