All'ora convenuta, si fa trovare nella sua casa di Pegli vestito di tutto punto: abito estivo, camicia, cravatta e copia delle chiavi di San Pietro al collo; due chiavi grandi e pesanti, una color oro, d'ottone, per aprire, e una color argento, di ferro, per chiudere, solo che la prima reca incisi due labirinti a guisa di mandala, il disegno che nel tantrismo induista e buddista rappresenta simbolicamente il cosmo, e la seconda finisce con la stella di David al posto delle fernette. Appesa a una spalla tiene la custodia contenente gli urim e i tummim, cioè le due pietre divinatorie che Mosè pose sul pettorale del fratello Aronne e che servivano ai sommi sacerdoti d'Israele per interpretare quale fosse la volontà di Dio.
Si definisce «l'ultimo dei romei», così erano chiamati i pellegrini medievali in cammino lungo la Via Francigena che da Canterbury portava a Roma, e in assoluto quello che ha visitato più chiese, 1.335, dal Santo Sepolcro di Gerusalemme alla cattedrale di San Patrizio a New York, perché a suo dire così avrebbe prescritto il profeta Daniele: «Beato colui che aspetterà e arriverà a 1.335 spazi-tempo santi». In ogni tempio è entrato con l'armamentario che indossa: «Nella basilica di San Pietro l'ho dovuto nascondere agli agenti della sicurezza». Se oggi scriverà una lettera o un'e-mail si firmerà, come d'abitudine, «Eliseo 25.268 giorni al servizio del Signore», essendo nato il 29 giugno 1943, e domani adeguerà il computo, in ossequio al Salmo 89: «Insegnaci a contare i nostri giorni e giungeremo alla sapienza del cuore».
Indecifrabile personaggio fin dal suo cognome il serafico professor Eliseo Striglioni ne' Tori, originario di Teramo, discendente da una famiglia di nobili abruzzesi decaduti, coniugato, due figli, laureato in economia e commercio, ex ufficiale di marina sul mercantile Gimmi Fassio, in pensione dal 2007 dopo aver insegnato nell'ultimo quarto di secolo diritto ed economia all'istituto tecnico commerciale Vittorio Emanuele II di Genova, biblista, autore di tre monumentali mattoni (Quante chiese visiteremo, La teoria dei sentimenti religiosi, Sentimento religioso e Spirito Santo) che risulterebbero indigeribili anche per il più accanito dei teologi.
Appena ammesso nel suo studio, mi ingiunge di riprodurre integralmente, «a beneficio dei lettori, che in tal mondo imparano», la pagina 2 del suo ultimo libro, firmato con lo pseudonimo Elis Trilioni, «ispirato dal mito orientale della mancata ricompensa all'inventore del gioco degli scacchi», il quale aveva chiesto a un principe indiano un chicco di grano per la prima casella della scacchiera, due chicchi per la seconda, quattro chicchi per la terza, e così via raddoppiando fino al 64° riquadro. «Ma risultò impossibile calcolare i chicchi di grano che gli erano dovuti. Ebbene, io sono l'unico ad averli contati: esattamente 9.233 trilioni 372 bilioni 41 miliardi 974 milioni 775.808 chicchi, ovverosia oltre 9 quadrilioni».
Poi mi porge la foto di una statua del VII secolo, Il pellegrino, che abbellisce la pieve parmense di Fornovo Taro dove sostavano i romei che percorrevano la Via Francigena, e mi ordina di pubblicarla sul Giornale, perché in essa si vedono bene, appesi alla cintola, le chiavi di San Pietro e il cestello per gli urim e i tummim.
Infine pretenderebbe, per conformarsi a questa scultura acefala, d'essere fotografato solo dal busto ai piedi, senza testa insomma. E qui mi tocca alzare la voce per fargli notare che cronista e fotoreporter non si sono certo sciroppati 600 e passa chilometri in un solo giorno, fra andata e ritorno, per portarsi a casa l'immagine di un decapitato. Nel trambusto che scaturisce dal tentativo di ridurlo a più miti consigli, accade purtroppo l'irreparabile: il professor Striglioni ne' Tori fa cadere sul pavimento le due pietre contenute nella saccoccia che gli cinge i fianchi. Una di esse, ignoro se gli urim o i tummim, si frantuma in tre pezzi. Attimi di sgomento. «Oh, mio Dio, che disgrazia, che disgrazia! Questo è un segno terribile», geme stravolto lo studioso. Cerco di consolarlo raccogliendo i cocci: ma no, guardi, s'è spezzata solo la punta, le lettere «u» e «t» scolpite sulle due facce della pietra sono rimaste integre. Il professore appare rinfrancato: «Ci metto subito una pisciatina di Attack».
È una riparazione che esige del tempo. Non sarebbe meglio procedere prima con l'intervista?
«Ha ragione. Sono sempre così precipitoso...».
Le stanno molto a cuore questi urim e tummim.
«Furono fatti nel 1666, insieme con la copia delle chiavi di San Pietro, dal mio avo Giovanni Mattia Striglioni, nato nel 1628, parroco di Badalucco, in provincia di Imperia, che era anche un fine incisore. Fu processato, incarcerato e torturato con l'accusa di sodomia, però mai condannato. Finché nel 1685 non venne ucciso con un colpo d'archibugio. Il sicario rimase ignoto».
E a lei come sono giunti questi oggetti?
«Per eredità. Mio padre li teneva nascosti in fondo a un cassetto. Alla sua morte non potevano certo andare a mio fratello Giuseppe, che è comunista e non avrebbe saputo che farsene. Io credo che il nostro antenato prete sia stato assassinato a 57 anni perché propugnava il ritorno all'elezione del Papa mediante gli urim e i tummim».
Una pretesa alquanto stravagante.
«Fino all'anno 350 era questa la modalità per scegliere il successore di Pietro. Le cose andavano così. Il Pontefice in carica consegnava le chiavi di San Pietro a un chierico che riteneva degno di prendere il suo posto. Una designazione vera e propria. Alla morte del Papa, i cardinali procedevano lo stesso a un conclave alla buona, che eleggeva il successore. Per essere sicuri che si trattasse della persona giusta, veniva convocato un pellegrino estraneo al mondo ecclesiastico e questi tirava gli urim e i tummim. In pratica avveniva un solenne sorteggio in pubblico tra l'aspirante indicato dal Pontefice defunto e l'aspirante uscito dal conclave. In tal modo si evitavano le lotte di potere. Nel XVII secolo si cercò di ripristinare questa procedura, ma i cardinali, che non volevano rischiare al 50 per cento di veder fallire i loro intrighi di palazzo, affogarono nel sangue la proposta del parroco di Badalucco».
Come si usano gli urim e i tummim?
«Semplice. Metta di dover scegliere fra innocente e colpevole. Si assegna al primo la lettera u e al secondo la lettera t, o viceversa, non ha importanza, come per testa o croce. Poi si gettano in aria e si lasciano cadere su una superficie morbida, non sul pavimento come ho fatto poc'anzi. Quando per due tiri consecutivi escono le due u o le due t, quello è il volere di Dio. Per consecutivi intendo un lancio di seguito all'altro, non due tiri ravvicinati».
E lei pretenderebbe che il Papa fosse eletto per sorteggio?
«Sarebbe auspicabile, sì. Lo sanno tutti che il Vaticano è scosso dagli intrallazzi».
Pensa che il collegio cardinalizio abbia sbagliato a eleggere Benedetto XVI?
«Non lo so. Se vuole faccio subito gli urim e i tummim per capire se il candidato giusto era Joseph Ratzinger oppure qualcun altro che aveva in mente Papa Wojtyla».
Forse non è il caso...
«Vediamo. Innanzitutto bisogna stabilire quale lettera designa il candidato in pectore di Wojtyla». (Gira più volte con le mani una delle due pietre dietro la schiena, poi guarda il lato superiore). «Ecco, u. Allora t è il candidato prescelto dal Sacro collegio, quindi Ratzinger». (Comincia a lanciare le pietre sul sofà. All'ottavo tiro escono t e t. Al nono di nuovo t e t). «Benedetto XVI è il Papa prescelto da Dio!».
Ora siamo tutti più tranquilli.
«Che strano. È venuto subito. Di solito ci vogliono almeno 20 minuti».
Come mai si fida poco dei pontefici?
«Non mi fido di Bonifacio VIII, quello dello schiaffo di Anagni, accusato d'aver ordinato l'uccisione del suo predecessore Celestino V, il papa che fece per viltade il gran rifiuto, come scrive Dante nella Divina Commedia. E non mi fido di Benedetto XII. Per far costruire lo sfarzoso Palazzo dei Papi di Avignone, dove dimorò per tutti gli otto anni del suo pontificato, vendette le chiavi di San Pietro. A denunciarlo fu proprio il mio avo parroco di Badalucco. Fra l'altro deve sapere che le coordinate geografiche del paesino ligure e della città francese sono praticamente uguali, stessa latitudine e solo 3 gradi di differenza per la longitudine. Sono sicuro che le chiavi originali affidate da Gesù all'apostolo Pietro, primo pontefice della Chiesa, oggi saranno finite nelle mani simoniache di qualche speculatore planetario, alla George Soros, per intenderci».
Servono solo per aprire le porte del Regno dei cieli, non dei caveau.
«Qualche altro potere lo danno. Come l'Arca dell'Alleanza e il Santo Graal, penso».
Da quando si occupa di religione?
«Da quando sono diventato terziario francescano, nel 1993. Ho fatto la professione religiosa nella Fraternità di Pegli. Ma vorrei che il Papa impugnasse il pescatorale anziché il pastorale, perché il Signore ha detto: Vi farò pescatori di uomini».
Veramente a Pietro disse anche per tre volte: «Pasci le mie pecorelle».
«Preferisco questo». (Afferra una pagaia doppia custodita in un angolo dello studio: il pescatorale). «È un remo con due pale, quindi un oggetto palindromo, come le parole, le frasi o i numeri che si possono leggere sia da sinistra che da destra».
E che cos'hanno di speciale i palindromi, a parte l'aspetto enigmistico?
«Nel giorno palindromo perfetto, il 22.222° dalla mia nascita, sono salito sul Bric Agnellino, un monte delle Alpi Marittime in provincia di Savona, che è alto 1.335 metri, il numero delle chiese da me visitate. E lì ho avuto il segno che la mia religione è quella giusta, perché vi era così tanta luce che la vista dell'occhio sinistro mi si è parzialmente oscurata per tre giorni».
Stento ad afferrare quale sia la sua religione.
«Vado a messa tutte le domeniche e sono del parere che non si possa essere completamente osservanti in più di una religione. Cionondimeno, pur essendo scrupolosi in quella in cui siamo stati cresciuti dalla nascita per effetto del battesimo, penso che si debbano ponderare testi sacri e recepire precetti anche di altre confessioni».
Si chiama sincretismo religioso.
«Preferirei parlare di omnireligione. Dio accetta più religioni, com'è rivelato nell'Apocalisse, dove si parla di 7 Chiese, numero che presso gli ebrei significava completezza. Suddivido la Chiesa cattolica in crocifissiani, che pregano per espiazione, e in redentoriani, che pregano per gratitudine. Ma l'aspetto più importante della religione non è la croce, bensì la redenzione. Invece si è preferito porre l'accento sulla penitenza anziché sulla gioia della salvezza. Guardi le opere d'arte nelle cattedrali: viae crucis, flagellazioni, crocifissioni, deposizioni, martirii... ».
Che altro non le va della Chiesa?
«La struttura di potere: curati, parroci, monsignori, canonici, vescovi, arcivescovi, cardinali. Vorrei una Chiesa in cui vi fossero solo il Papa, i vescovi e i preti. Senza Curia romana».
Ha avuto occasione di discuterne con qualche uomo di Chiesa?
«Sì, qui a Pegli. Don Michele, il parroco di San Martino, mi considera stravagante, mezzo matto, insomma. Don Mario, il parroco di Sant'Antonio, mi prende in giro. Mi ero rivolto a lui per incontrare il cardinale Angelo Bagnasco. So che conosce bene l'arcivescovo di Genova. Il presidente della Cei non ha tempo da perdere, mi ha risposto».
Quindi presumo che lei non vedrebbe bene Bagnasco sul soglio di Pietro...
«Né lui, né il suo predecessore, il cardinale Tarcisio Bertone, segretario di Stato vaticano. Non ho nulla contro di loro. Però entrambi amano comandare, si vede a occhio nudo».
Ma lei riconosce il primato di Pietro?
«Certo».
Ho osservato uno strano fenomeno nelle Grotte vaticane: i fedeli fanno la coda per pregare davanti alla tomba di Giovanni Paolo II. Nessuno che sosti davanti al sacello di Pietro.
«Che vorrà dire?».
Me lo dica lei.
«Che lì non è sepolto San Pietro».
Eppure durante gli scavi sotto l'altare della basilica vaticana, voluti da Pio XII, fu trovato il graffito «Pietro è qui» in caratteri greci.
«Ho pregato in San Pietro, ma non su quella tomba».
Parlava ai suoi studenti di queste tematiche?
«A scuola erano tutti rossi. Non facevo parte della cricca di potere che s'era presa il sabato libero. Pensi che nell'ultimo giorno della settimana a me avevano rifilato 6 ore di lezione. Il 29 aprile 2009, un sabato, appena rincasato, mi venne un infarto. Se avessi parlato in aula di Dio, mi avrebbero linciato, a quest'ora sarei già morto».
Sua moglie che dice delle sue teorie?
«È affaticata da tanto zelo, però col sorriso sulle labbra. Abuso della sua pazienza».
Senta, professore, ma lei spera di andare in paradiso o si accontenta di non finire all'inferno?
«Spererei nel paradiso».
Credevo che mi rispondesse che l'inferno non esiste.
«Ho fatto gli urim e i tummim ed è venuto fuori che esiste, eccome».
(612. Continua)
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