di Cristiano Gatti
Ci provino gli psichiatri, ci provino i criminologi, ci provino gli assistenti sociali a trovare la chiave di lettura. Quella vera, quella che spiega compiutamente l'atrocità, non quella che piace a loro per sentirsi molto perspicaci. In noi padri e madri qualunque, certi delitti scatenano solo un senso di insondabile oppressione. La mamma che uccide la sua creatura è di gran lunga il peggiore dei delitti. Lo è in assoluto, perché è contro natura: la natura pura e semplice, mossa da leggi ancestrali, che mette madre e figlio in un'unica bolla esistenziale, dove è fatica distinguere l'uno dall'altro, carne della stessa carne e anima della stessa anima. Questa stessa natura impone caso mai una regola inversa, e cioè che sia istintivamente la madre a sacrificare la propria vita per salvare quella del figlio. Cosa è successo allora alla giovane madre ivoriana, raccontata da tutti come dolcissima e impeccabile? La spiegazione della depressione post partum, legata alla secondogenita nata nove mesi fa, cadrebbe subito provvidenziale per rendere logico l'avvenimento e rimetterci tutti un po' più tranquilli: trovare un motivo accettabilmente logico ci tiene al riparo dal terrore che un giorno possa capitare a tutti, dunque a noi. Eppure c'è qualcosa: i testimoni parlano della mamma tranquilla e serena fino al giorno prima. È evidente: o i rapporti di vicinato ormai sono talmente volatili e superficiali da rendere impossibile una vera percezione dell'altro, oppure Ajcha Christine ha mimetizzato benissimo, appena fuori dall'uscio di casa, la sua devastazione. Resterebbe infine l'idea sempre cara del raptus, un concetto talmente vago e universale da coprire l'intero campionario delle feroci possibilità umane: ma cosa non è raptus, quando scorre il sangue? Un fatto è certo: la mamma ha ucciso nel cuore della notte, quando i fantasmi peggiori affollano e agitano la nostra mente, fino a farci perdere il vero senso della realtà. In quelle ore, la nostra anima può davvero perdersi dietro alle idee più opprimenti e alle paure più cupe, come in uno stato febbrile. Però attenzione: la notte non può certo essere una spiegazione completa. A Cogne la mamma ha perso la testa di mattina. Anni fa, sempre in valle d'Aosta, un'altra mamma prese in braccio i suoi due bimbi e se li portò dentro un laghetto, lasciandoli annegare a poco a poco: era pieno giorno. A dir la verità, in tutti questi delitti spaventosi, l'unica vera costante è la mancanza di una ragione plausibile. In quei cuori di madre qualcosa improvvisamente entra in avaria. E non c'è niente che possa fermare in tempo questa avaria. Per questo, mentre tutti piangiamo pietosamente il piccolo morto a tre anni, un poco di rispetto dobbiamo riservarlo anche a lei, la madre contro natura, vittima di un corto circuito che scuote l'universo.
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