I grillini divisi fanno da stampella al Pd

RomaE venne il sabato della spaccatura del MoVimento 5 stelle. Il giorno dei lunghi coltelli che fa segnare il primo punto a favore di Pier Luigi Bersani dalla non-vittoria delle elezioni in poi. Accade infatti che Pietro Grasso venga eletto alla seconda carica dello Stato anche grazie a un pugno di voti dei cittadini senatori a cinque stampelle, ehm, stelle. Lo dicono i numeri: Grasso trionfa con 137 voti, 12 in più di quelli teoricamente «controllati». Un pacchetto di obiettori che non dovrebbero appartenere alla pattuglia dei montiani, che votano in bianco e lo fanno capire passando nell'urna in fretta e furia. E che dovrebbero quindi acquattarsi tra i rivoluzionari a Cinque stelle, che compiono così il primo strappo rispetto ai dettami di Grillo-Casaleggio. Tanto che in serata, dal blog del capo, arriva l'anatema: «Nella votazione per la presidenza del Senato – si legge sul sito di Grillo – è mancata la trasparenza. Se questo è vero in generale, per il M5S, che fa della trasparenza uno dei suoi punti cardinali, vale ancora di più». Grillo ricorda l'articolo del codice di comportamento che recita: «Votazioni in aula decise a maggioranza dei parlamentari del M5S. Se qualcuno si fosse sottratto a questo obbligo ha mentito agli elettori, spero – conclude – ne tragga le dovute conseguenze».
È il sabato dei mal di pancia dei neosenatori M5S. Poche ore prima del ballottaggio tra Grasso e Schifani una riunione infuocata e senza l'invocata diretta streaming tra i senatori a Cinque stelle tiene in scacco l'intero Senato, con i giornalisti attratti dalle urla che origliano e i commessi di Palazzo Madama che si affannano per tenerli lontani. Si vota per alzata di mano, vince la linea del no a Grasso, ma qualcuno non ci sta. Il senatore Vito Petrocelli abbandona la stanza. Dopo la resa dei conti il collega Bartolomeo Pepe posta su Facebook: «Libertà di voto. Senza contrattazioni e senza trucchi. Borsellino ci chiede un gesto di responsabilità e noi non siamo irresponsabili, finché siamo qui dentro, a voi la scelta». Una senatrice si aggira per il Transatlantico come un automa, scossa. Tra i più in imbarazzo i senatori meridionali: «Se vince Schifani ai siciliani quando tornano a casa fanno un mazzo così», sussurra qualcuno. Al termine del vertice il capogruppo Vito Crimi prova a fingere che non sia accaduto nulla: «Abbiamo fatto una scelta e la manteniamo», dice confermando la linea di votare scheda bianca. Ma che qualcosa non stia andando secondo i piani è chiaro. I senatori parlottano, fanno i gruppetti, rinunciano a quell'aria incorruttibile e un po' snob che li ha contrassegnati fino a ieri. Lo stesso Crimi finisce sulla graticola per aver in qualche modo scavalcato la maggioranza, impegnando la linea del movimento prima dell'assemblea.
Del resto basta surfare sulle pagine Facebook e Twitter per capire che il mondo grillino è in fermento. Almeno la metà dei commenti invitano i Cinque stelle a non consegnare il Senato a Schifani. Un post del giornalista Filippo Vendemmiati su Facebook fotografa la diaspora: «Sms da una senatrice-amica grillina: supermaggioranza gruppo a favore di Grasso, non basta. Siamo già morti prima di nascere!». Crimi alla fine liquida la posizione degli obiettori come «casi di coscienza».

Quindi chi si è attenuto alla linea del movimento ne è privo? Per metterci una pezza, se la cava così: «Si sta perpetuando la rottura di una prassi istituzionale che vedeva l'assegnazione di una delle Camere al maggior partito dell'opposizione. Una prassi smantellata da Silvio Berlusconi, poi proseguita dal Pd, ripresa ancora da Berlusconi e ancora adesso dal Pd».

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