Roma Antipartitici, allergici alle critiche, accentratori e autoritari. Monti e Grillo paradossalmente si assomigliano. Anche se il primo è serioso e il secondo è un comico, alcuni tratti li accomunano. Sanno essere minacciosi entrambi, per esempio. Il Professore ne ha dato prova anche ieri, rispondendo a un editoriale di Scalfari su Repubblica. Il Fondatore lo aveva esortato ad affrontare il «problema» di alcuni poteri forti inseriti nel suo governo. Secondo Scalfari, Vincenzo Fortunato (capo di gabinetto di palazzo Chigi), Mario Canzio (ragioniere generale del Tesoro) e Antonio Catricalà (sottosegretario alla presidenza del Consiglio), «remano contro» e «hanno un difetto assai grave: sono creature di Gianni Letta e Giulio Tremonti». Quindi, per il Fondatore, un «problema» da eliminare.
Monti non s’è lasciato sfuggire l’occasione e, presa carta e penna, s’è tolto un po’ di sassolini dalle scarpe. Il primo: graffiare Tremonti. «Avrei potuto - scrive Monti - (non confermare gli uomini che avevano lavorato con il precedente ministro dell’Economia, ndr), magari per il fatto che il ministro (Tremonti) non sempre aveva mostrato particolare rispetto per le mie tesi di politica economica (o per la mia persona) nel corso degli anni». Tuttavia, per il premier, le sue conferme e le sue nomine sono dettate da solo un criterio-faro: «Hanno caratteristiche di competenza, integrità, autorevolezza, lealtà. Lealtà allo Stato e alle linee programmatiche del governo, non a una “mia” parte politica (che, come è noto, non esiste)».
Parte politica, quindi partiti.
Ecco il virus da evitare, la pepatencia da sbolognare, la rogna da combattere. Esattamente come Grillo. Soltanto che il comico lo urla sudato nelle piazze, mandandoli a «fanc...»; il Professore lo bisbiglia sotto gli stucchi di palazzo Chigi, dopo averli ascoltati. Il premier li consulta, ma poi fa di testa sua e dice «O così o così». Insomma, li piccona, li sfida, sotto sotto li schifa e fa loro ingoiare di tutto. Con l’arma della fiducia, Monti s’è fatto votare dagli odiati partiti il «salva Italia» (Imu, pensioni, eccetera), il milleproroghe, lo svuotacarceri, le liberalizzazioni, le semplificazioni, il decreto ambiente e quello sul fisco. Come Grillo li vorrebbe rottamare ma a lui servono perché lo tengono in piedi.
Altro sassolino tolto dalla scarpa montiana: mandare un messaggio chiaro a chi di dovere. Nella sua replica a Repubblica, il premier scrive: «Nel caso riscontrassi in qualsiasi collaboratore anche un solo caso di mancata correttezza o lealtà, non esiterei a privarmi della loro collaborazione». Poi, rievoca un precedente di quando sedeva sulla poltrona di Bruxelles: «Nei primi mesi del mio mandato di Commissario europeo, nel 1995, un direttore generale si mise d’accordo con il governo del suo Paese, in una procedura di infrazione, senza riferirmene preventivamente, come avrebbe dovuto. Quell’alto funzionario, pur appartenente ad un grande Stato membro, venne rimosso dal servizio».
Un avvertimento soprattutto ad Antonio Catricalà, suo sottosegretario. Il quale era finito nella bufera perché accusato di aver fatto di testa sua su un progetto di riforma del Csm, del consiglio di Stato e della Corte dei conti, poi cassato. Insomma, in chiaro il premier lo difese e gli rinnovò la fiducia ma nel retroscena si raccontò di uno scatto d’ira di Monti, proprio nei confronti di Catricalà.
Stessa rabbia di Grillo quando il neosindaco di Parma, Federico Pizzarotti, disse di voler nominare come direttore generale, Valentino Tavolazzi, grillino eretico, odiato dallo stesso Grillo. Che resta un padre padrone. Proprio come Monti.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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