Roma Quelli che il 4 per cento. Quelli che il 2 per cento. Quelli che alla peggio va bene anche il «miglior perdente». Quelli che, stringi stringi, rischiano di restar fuori dal Parlamento. Nella primavera in pieno inverno della politica italiana, quella malastagione in cui fioriscono i partiti, c'è una grande malinconia nel sottobosco delle sigle. In Parlamento non c'è posto per tutti. E anche se i leader si comportano come gli allenatori di serie A prima del campionato, quelli per cui la salvezza, il centroclassifica, l'Europa e lo scudetto perché no?, molti di loro retrocederanno.
Che guaio lo sbarramento: quella soglia minima di voti che in base alla legge elettorale vigente dà diritto a fare entrare i propri uomini a Montecitorio e a Palazzo Madama. Funziona così: alla Camera una coalizione deve ottenere almeno il 10 per cento per eleggere deputati, mentre ai partiti basta il 4 (se corrono da soli o fanno parte di una coalizione che non ha toccato quota 10) o il 2 (se fanno parte di una coalizione che ha superato il 10). Unica eccezione, quella per il «miglior perdente» di una coalizione sopra il 10 per cento, vale a dire la sigla che è la prima a non aver superato il 2 per cento. E al Senato? Gli sbarramenti si attuano regione per regione e sono del 20 per cento per le coalizioni, dell'8 per i partiti soli o in coalizioni «under 20», del 3 per i partiti di coalizioni «over 20».
Tutti a far di conto e a cercare la strategia per salvare la poltrona. Tranne Pdl, Pd e Movimento 5 Stelle. Il blocco montiano, accreditato al 12 per cento, attualmente eleggerebbe una settantina di deputati ma nessun senatore, a meno che in una o più regioni la lista che comporrà il centro non superi quota 8, impresa non facile. E anche alla Camera, potrebbe restar fuori Fli, accreditato attualmente di un 1,2 che in un'analisi chimica si tradurrebbe in: tracce. Forse solo la clausola del «miglior perdente» potrebbe traghettare qualche finiano (meno delle dita di una mano, comunque) a passeggiare per il Transatlantico. Che brutta fine per Gianfranco Fini, che sognava di rottamare Silvio Berlusconi e rischia di finire in discarica lui stesso.
Nel centrodestra con l'attuale ma assai mutevole scenario sono a rischio sia i Fratelli d'Italia di Meloni-Crosetto-La Russa, attualmente al 2 per cento, sia Intesa Popolare, accreditato di una percentuale simile. In questo caso nisba al Senato e qualche speranza alla Camera, o superando il 2 o con la formula del «miglior perdente», che però salverebbe una sola delle due formazioni. Nel centrosinistra la corsa a quota 2 interessa il Centro Democratico di Bruno Tabacci e Massimo Donadi, nemmeno segnalato dai radar dei sondaggi, ma collocabile alla voce varie ed eventuali (che cosa c'è da aspettarsi da un partito i cui leader sono uno che si è fatto battere da Laura Puppato alle primarie del centrosinistra e un ex dipietrista?) e l'irrilevante Psi di Riccardo Nencini.
Ma c'è un altro illustre competitor che è stato nominato per l'eliminazione. È Antonio Ingroia, che di recente ha fatto irruzione sulla scena politica come candidato premier di Rivoluzione Civile.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.