Barabba forse era comunista, Papa Francesco no (anche se secondo Grillo è grillino). Bergoglio è arrivato dalla fine del mondo. Si è presentato con un «buonasera». È argentino nel carattere e nell'intercalare. È gesuita e ha scelto come nome quello di un santo che si è spogliato di tutto. Non c'è dubbio che nella sua Chiesa al centro ci sono i poveri. Sembra scontato, ma come si sa non lo è affatto.
È proprio lui, Francesco, che sente il bisogno di fare chiarezza. Nel pomeriggio tocca a Renzi, ma prima c'è un gruppetto di ragazzi belgi che sta lì per fare domande. Quella che pesa di più è questa. I poveri. Perché sono così importanti per lei? Il Papa forse pensa: ma come perché? Quasi balbetta. Poi risponde: «Perché questo è il cuore del vangelo». Il dialogo poteva finire qui. Botta e risposta. Ma Francesco adesso sorride. «Ho sentito due mesi fa una persona che ha detto: ma questo Papa è un comunista. E no. Questa è la bandiera del vangelo. Non del comunismo. È la povertà senza ideologia. I poveri sono al centro dell'annunzio di Gesù. Basta leggerlo».
Basta leggerlo. Perché Bergoglio ci tiene a smarcarsi? Non sono solo i dubbi di chi vede in questo Papa sudamericano qualcosa di rosso. Non preoccupano Francesco. È altro. Se stai dalla parte degli ultimi non sei per forza comunista. Non c'è un monopolio culturale. Non c'è, per fortuna, solo Cuba. E qui torna Barabba. Il Papa non lo ha citato, ma ha parlato di una «povertà senza ideologia».
Barabba, si sa, è l'uomo che il popolo di Gerusalemme, quelli che perlomeno stavano sotto il palazzo di Pilato, ha liberato al posto di Gesù. Barabba era uno zelota. Era un leader rivoluzionario. Per i romani un terrorista. Era un partigiano disposto a tutto pur di cacciare l'impero dalla sua terra. E, intendiamoci, era una causa giusta. Il difetto, magari, era quel suo integralismo ebraico, quell'intolleranza che nasce dalla rabbia, dalla miseria e dall'ideologia. Non siamo qui per condannare Barabba, anche perché non si può processare nessuno per lo stesso reato e lui è già stato assolto. Solo va detto che gli zeloti punivano con la morte chi non rispettava od offendeva la fede giudaica. Sembra che tra gli apostoli ci fossero alcuni zeloti, sicuramente Giuda e Simone il Cananeo, qualcuno dice anche Simone detto Pietro, cioè San Pietro. Il confine come sempre accade è molto sottile. Ma cosa c'entra tutto questo con Papa Francesco e il comunismo? Barabba, al di là della provocazione, non può essere certo definito un pre marxista. Pensate però all'icona rivoluzionaria per eccellenza del comunismo. Pensate al corpo di Ernesto Guevara abbandonato su un tavolaccio in Bolivia con i capelli lunghi, massacrato dalle torture. Qui nell'immaginario collettivo il Che e il Cristo convergono. Ma il paragone è sbagliato. Il Che non è Gesù. È Barabba. È per questo che Bergoglio non è comunista e ci tiene a precisarlo.
Nessuno sa cosa sarebbe successo se Barabba avesse vinto la sua rivoluzione, magari con un Fidel Castro come stratega. Sappiamo però quello che è successo a Cuba. E la promessa di chi ha combattuto sulla Sierra non è stata mantenuta. Questo perché chi promette il paradiso in terra per una beffa della storia poi ti porta vicino all'inferno. Tra i barbudos cubani solo una minoranza era comunista. Lo stesso Castro si è convertito solo dopo la vittoria. C'erano libertari come Carlos Franqui e molti cattolici. Dopo la rivoluzione chi non era comunista e allineato è finito male: morto, esiliato, imprigionato. Chiedete ad Armando Valladeres perseguitato in patria perché cattolico militante.
Questa digressione su Cuba non è casuale, perché per i sudamericani il comunismo è soprattutto Cuba. Era il sogno di una rivoluzione diversa. Non Russia. Non Cina. Non Cambogia. E neppure Jugoslavia. Doveva essere una rivoluzione dal volto umano e così non è stato. E lo stesso discorso vale adesso per il Venezuela di Chavez e post Chavez. La replica è: il comunismo è un'utopia, poi la storia deraglia e questo vale anche per la Chiesa. Può darsi. Ma il «non comunismo» di Bergoglio è di principio. È una fede diversa. È un altro approccio. È rivendicare qualcosa che c'era prima. È credere in Dio e non nel materialismo dialettico. È, se si vuole restare sulla terra, la dottrina sociale della Chiesa. Ma c'è anche una scelta di stare con gli indifesi che non è di sinistra.
Ogni tanto qualcuno ti chiede: come si fa a tutelare i deboli scrivendo su un giornale di destra? E senza essere post democristiano come Renzi o come Alfano? La risposta è che spesso la sinistra usa i poveri come strumento, e tu invece pensi che gli ultimi abbiano bisogno soprattutto di opportunità. I poveri non sono una massa, non sono indistinti.
Sono individui, sono nome e cognome, sono il prossimo. E perlomeno qui in Italia, ma forse anche altrove, lo Stato non solo non crea opportunità ma distribuisce privilegi. Non agli ultimi, ma a quelli con gli amici giusti.
Poi ognuno fa i conti con se stesso. Senza sentirsi padrone della verità. E questo è il guaio delle ideologie. Credono in mondi e umani perfetti. E invece come dice Francesco anche un Papa ha paura. E di cosa? «Di me stesso».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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