La notizia è che per Repubblica le novità sul caso della casa a Montecarlo non sono una notizia. Ieri il quotidiano di largo Fochetti è stato l'unico a non dedicare nemmeno una riga alla vicenda che rende le dimissioni da presidente della Camera di Gianfranco Fini un atto necessario di coerenza. Oltre ai cattivoni del giornale che state sfogliando, che l'affaire come è ben noto l'hanno scoperto e reso noto e che per questo da oltre due anni sopportano le accuse di dossieraggio, killeraggio mediatico, utilizzo di metodi variamente battezzati (qualcuno li definì addirittura «goebbelsiani» dando mostra se non altro di un certo talento per l'aggettivazione a effetto), tutti hanno dato più o meno spazio a quella che era indubbiamente una notizia di rilievo. E se Libero, che come il Giornale ha aperto sulla questione del quartierino di boulevard Princesse Charlotte, è comunque liquidato come quotidiano di area berlusconiana, e quindi «nemico» giurato di Fini, gli altri si sono limitati a fare il loro lavoro applicando la regola: è una notizia, la pubblico. Il Corriere della Sera e la Stampa gli hanno dedicato l'apertura di pagina 15, il Fatto Quotidiano il titolo di apertura («Casa di Montecarlo, ora Fini è nei guai»), il Tempo pagina 9, mentre al Messaggero è bastato un riquadro a pagina 9 per evitare quello che in gergo giornalistico si chiama «buco». Rimasto esclusiva di Repubblica.
Eppure la notizia stavolta non esce dal bagagliaio della «macchina del fango», ma da un settimanale che di Repubblica è cugino, l'Espresso. I due giornali appartengono allo stesso gruppo, ma evidentemente più delle sinergie possono le convenienze politiche. O forse, sforzandoci di essere buoni, possiamo ipotizzare un soprassalto di orgoglio: ammettere di avere sbagliato in largo Fochetti (ma siamo onesti: in nessuna redazione) è cosa che non si fa volentieri. Poi, siccome il bavaglio alle notizie dura poco, ieri su repubblica.it la notizia magicamente riappare, anche se non nella parte alta del sito, sotto il titolo «Fini, nuove carte sulla casa di Montecarlo. L'acquirente era un fiduciario di Tulliani». Cliccando si finisce sulle pagine web dell'Espresso. C'è pure la possibilità di gustarsi di nuovo il videomessaggio che Fini diffuse il 25 settembre 2010, quello dell'ipse dixit: «Se la casa di Montecarlo è davvero di Tulliani mi dimetto».
Una tardiva resipiscenza che non cancella un silenzio che colpisce ma non sorprende. Nei giorni caldi dell'agosto 2010, quando lo scandalo monegasco montava e dal nostro giornale tracimava su tutti gli altri, Repubblica era l'unica testata a trattare distrattamente la faccenda, in modo certo assai diverso dalla fame con cui appena pochi mesi prima aveva spolpato un'altra faccenduola immobiliare, quella della casa di Claudio Scajola al Colosseo. Allora ogni giorno erano ettari di articoli, fotografie, visure, piantine, perizie, citofonate, testimonianze. Ma in quel caso trattavasi di un ministro Pdl, in questo di un oppositore interno a Berlusconi. Due case, due misure.
Il fatto è che in quei mesi stava maturando un'importante svolta politica e quindi giornalistica. Gianfranco Fini da post fascista stava diventando l'eroe di una sinistra a corto di eroismo home made. Così Repubblica si offrì come megafono di comodo al presidente della Camera.
Dal gennaio 2011 a oggi non si contano le interviste-lenzuolo al presidente di Montecitorio: la prima il 12 gennaio 2011, poi il 24 luglio 2011, il 27 gennaio 2012 (videointervista su repubblica.it), il 17 aprile 2012, il 27 agosto 2012 e, da ultimo, il videoforum con i lettori di repubblica.it del 4 ottobre 2012. È proprio vero: non c'è amico più caro del nemico del tuo nemico.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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