MilanoA questo punto del processo Ruby ci sono solo due possibilità: o ieri un ambasciatore, un ex ministro, un ex sottosegretario e un parlamentare si sono presentati tutti in aula a raccontare frottole sotto giuramento; oppure la storia dei presunti rapporti tra «Ruby Rubacuori» e il presidente egiziano Hosni Mubarak non è una barzelletta, e davvero nel corso dei vertici tra Italia ed Egitto si finì col parlare anche della procace fanciulla conosciuta per caso da Silvio Berlusconi. Per avere sostenuto di essersi preso a cuore le sorti di Ruby, la notte in cui finì in questura, proprio per evitare le ire di Mubarak, Silvio Berlusconi è stato contestato e preso in giro. Ma ieri arrivano sul banco dei testimoni Paolo Bonaiuti, Giancarlo Galan, Valentino Valentini e il diplomatico Bruno Archi, che all'incontro conviviale tra Berlusconi e Mubarak erano presenti. E confermano la versione del Cavaliere.
Sono credibili, i quattro testimoni? Tre sono politicamente e umanamente vicini all'imputato. Uno, Archi, è un diplomatico di carriera che ha lavorato anche con Prodi. Il procuratore aggiunto Ilda Boccassini mostra chiaramente la sua incredulità nei confronti di tutti e quattro. E, indirettamente, anche dell'ex ministro Franco Frattini, che ha detto le stesse cose a verbale anche se ieri non è potuto venire in aula a ripeterle.
Cosa dicono, i quattro? Più o meno la stessa cosa. Che nel maggio 2010, qualche settimana prima della notte in cui il fermo di Ruby innescò tutto questo feuilleton, avvenne il terzo e ultimo faccia a faccia tra Italia ed Egitto. Mubarak venne a Roma, accompagnato da ministri e diplomatici. Si tennero incontri bilaterali e un pranzo finale, con tredici o quattordici persone. «Fu un dialogo unidirezionale, parlava solo Berlusconi», dice Galan. E sul finire, nella rilassatezza generale, Berlusconi disse a Mubarak: «Sai che ho conosciuto una ragazza che si chiama Ruby e che pare sia tua parente?». Su come reagì Mubarak le versioni discordano: «Mi sembrò che non avesse capito», «non stetti a sentire cosa rispose», «c'era confusione, uno dei ministri disse che forse si trattava di una cantante famosa». Ma poco cambia, dal punto di vista della difesa di Berlusconi. L'importante per Ghedini e Longo era dimostrare che Kharima el Mahroug, diciassettenne marocchina scappata di casa, era davvero - per quanto surreale ciò possa apparire - divenuta oggetto di dialogo tra i leader di due nazioni. E che quindi la notte del 27 maggio, quando Berlusconi chiamò in questura a Milano per farla affidare alla Minetti, non pensava a proteggere se stesso ma ad evitare un incidente diplomatico.
Anche di quella notte, d'altronde, si è parlato nell'udienza di ieri. Perché Valentino Valentini, all'epoca consigliere del premier per i rapporti internazionali, era in compagnia di Berlusconi non solo durante l'incontro con Mubarak ma anche nel viaggio a Parigi, quando il Cavaliere - mentre stava per reimbarcarsi verso l'Italia - venne avvisato che Ruby era stata fermata e portata in questura. E Valentini rivendica per se stesso la responsabilità di avere telefonato ai vertici della polizia milanese.
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