Ma i veri ultimatum vengono ignorati il commento 2

di Come fa la Repubblica ieri a proporre agli italiani come titolo di apertura «Renzi: ultimatum a Letta»? Ma davvero pensano che questa possa essere la notizia che più di altre interessa gli italiani? O forse gli italiani che leggono la Repubblica sono una nicchia che può permettersi il lusso di disinteressarsi del fatto che la maggioranza degli italiani vive in una condizione tragica, con 12 milioni di poveri di cui 6 milioni che patiscono la fame, mentre sono 6 milioni i disoccupati e gli inoccupati che rinunciano a cercare lavoro?
L'unico ultimatum che meritava il titolo di apertura di tutti i giornali era l'«Ultimatum Day» dei piccoli imprenditori che sabato hanno manifestato davanti al Parlamento a Roma indossando la sagoma di bare con le scritte: Impresa, Famiglia, Lavoro, Commercio e Pensioni, per simboleggiare la morte dell'insieme delle istituzioni cardini dello sviluppo e della società. In Italia su circa 4 milioni e mezzo di imprese, il 95% sono micro e il 4,5% sono piccole imprese. Producono il 57,7% del Pil e creano il 64% dei posti di lavoro. Sono questi micro e piccoli imprenditori che fanno grande l'Italia. Ebbene ogni giorno chiudono circa 1.000 partite Iva e nei primi 9 mesi del 2013 sono fallite quasi 9mila aziende. Il paradosso è che le aziende muoiono non perché hanno dei debiti ma perché vantano dei crediti e il principale debitore insolvente è lo Stato che deve 130 miliardi alle imprese. La condanna a morte si consuma tra l'incudine della stretta creditizia e il martello del 70% di tassazione. Si sta perpetrando il crimine epocale della trasformazione dell'Italia ricca in italiani poveri.
Possibile che a fronte di questa tragedia ieri La Stampa titolava con la richiesta di Saccomanni «Ora le imprese investano»? Come fanno a investire se sono condannate a morire e se il costo del denaro è il più alto di tutt'Europa? Dal canto suo il Corriere della Sera è tornato sul tema della corruzione in seno alla pubblica amministrazione denunciando in apertura «Tre miliardi rubati allo Stato». È così difficile capire che uno Stato che è il principale debitore insolvente, che costa 830 miliardi pari a oltre la metà del Pil, che impone il più alto livello di tassazione al mondo, che infierisce nei confronti degli imprenditori e dei cittadini con un regime di polizia fiscale che è arrivato al punto di richiedere 60 mila euro a Tiziana Marrone, vedova di Giuseppe Campaniello che nel marzo 2012 si suicidò dandosi fuoco di fronte alla sede dell'Agenzia delle entrate a Bologna, non è uno Stato difendibile ma piuttosto da riformare dalle fondamenta? Siamo arrivati all'assurdo in cui è lo Stato a pretendere, con mezzi da aguzzino, che i cittadini giustifichino l'uso che fanno dei propri soldi fino all'ultimo centesimo, quando dovremmo noi cittadini esigere che lo Stato giustifichi l'uso che fa dei nostri soldi fino all'ultimo centesimo.
Ebbene dove sta la stampa italiana in questo scenario di vera e propria guerra scatenata da una dittatura finanziaria che ha il volto della Banca centrale europea, della Commissione europea, del Fondo monetario internazionale e dei poteri imprenditoriali e bancari forti che sostanziano il cosiddetto «mercato» che si materializza nella speculazione borsistica? Possibile che non si comprenda che anche per la stampa le bugie hanno le gambe corte e che se dovesse persistere nell'ingannare gli italiani offrendo una rappresentazione mistificata e ideologizzata della realtà alla fine perderà del tutto il rapporto con i cittadini? Ciò che si legge sui giornali oggi non è l'Italia reale e non corrisponde al vissuto degli italiani. E se la stampa istituzionale fallisce nel ruolo di informare correttamente e di operare responsabilmente per favorire il bene comune, la massa si rivolgerà ad altre fonti per conoscere dati, fatti, valutazioni e proposte, ciò che di fatto già avviene con la caduta irrefrenabile delle copie effettivamente vendute e la scelta di rivolgersi a internet, che è però un calderone dove si trova tutto e il contrario di tutto e dove pertanto è più facile ingannare e adescare i più sprovveduti e i meno culturalmente attrezzati.


Così come è necessario rimettere al centro la persona e non la moneta per risanare il disastro provocato dalla dittatura finanziaria, è altrettanto necessario rimettere al centro la corretta rappresentazione della realtà e non l'esca ideologica o banalmente di marketing politico per riscattare la credibilità dei mezzi di comunicazione a cui la massa ha finora guardato come un'istituzione.
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