RomaUfficialmente si chiama «pensionamento flessibile», ma in realtà si dovrebbe dire «aumento dei contributi previdenziali», cioè più tasse anche per coprire i «buchi» dell'Inps. Ieri il ministro del Lavoro, Enrico Giovannini, dopo settimane di sostanziale silenzio (interrotto solo per disapprovare il Jobs Act renziano), ha annunciato che il governo «sta lavorando a uno strumento flessibile in funzione delle esigenze soggettive dei lavoratori» per agevolare l'uscita anticipata rispetto all'età di pensionamento, aumentata dalla riforma Fornero. E, soprattutto, per evitare nuovi casi di «esodati».
Giovannini ha spiegato che si sta studiando un piano assieme al ministero dell'Economia. I concetti espressi sono pochi ma densi di significato. Il progetto dovrà avere «robustezza finanziaria» e «l'idea è di avere una contribuzione da parte di tutti e tre i soggetti coinvolti», cioè il lavoratore, l'impresa, ma anche lo Stato. In questo modo, si offrirebbe «uno strumento aggiuntivo cui si accederebbe su base volontaria, come già avviene nei casi previsti per le aziende di maggiori dimensioni». Perché - ed è sempre bene ricordarlo - restano fermi i requisiti dell'attuale normativa. Che nel 2014 ha come parametri: 62 anni di età e 42 e mezzo di contributi (41 e mezzo per le donne) per le pensioni di anzianità, mentre quelle di vecchiaia si conseguono a 66 anni e 3 mesi (63 e 9 mesi per le donne).
Il ministro ha fatto sapere che l'ipotesi del «prestito pensionistico» è campata per aria. Negli scorsi mesi, infatti, i rumors indicavano la possibilità che l'Inps prestasse ai lavoratori, che - per scelta o necessità aziendale - escono dalla vita attiva, il trattamento pensionistico rivalendosi al momento della maturazione dei requisiti. Troppo oneroso per un istituto il cui patrimonio, dopo la fusione con l'Inpdap, dovrebbe ridursi attorno ai 15 miliardi con un disavanzo stimato nel 2013 a circa 10 miliardi. Inoltre l'Inps, in questo modo, si sarebbe trasformata in una banca con tutti i rischi connessi.
Eppure proprio dalle banche arriva la soluzione che, secondo voci di corridoio, dovrebbe essere adottata. È quella del «Fondo esuberi». Gli istituti di credito, infatti, versano una piccola percentuale delle remunerazioni a questa istituzione che provvede a pagare i bancari prepensionati (circa 30mila tra 2008 e 2013). Fino al dicembre scorso si versava lo 0,5% del salario su base volontaria, ma i 160 milioni in cassa non erano più sufficienti a coprire la maxiristrutturazione in atto. Così si è passati a uno 0,2% ancora volontario, ma che gli istituti verseranno quasi certamente ogni anno per avere mano libera sui tagli al personale. Gli «esuberi» delle banche ricevono il trattamento integrativo dall'Inps che poi viene «ristorata» dal Fondo.
Alcune imprese private adottano un meccanismo simile in base ai contratti aziendali. Ora il principio potrebbe essere esteso a una platea più ampia.
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