Roma - È un filo sottile quello sul quale cammina Enrico Letta, stretto tra il miraggio della pacificazione nazionale e le pulsioni antiberlusconiane del suo partito, alimentate a sinistra dalla concorrenza grillina. Una miscela esplosiva con la quale il partito del Nazareno fatica a fare i conti, tanto da non riuscire a governare il gruppo parlamentare e a scacciare via la tentazione del provvedimento «elimina-avversari», ovvero l'ineleggibilità di Silvio Berlusconi.
Questo stallo si riflette anche sulla composizione e la presidenza della Giunta delle elezioni del Senato, l'organismo chiamato eventualmente a esprimersi sulla materia. Il confronto che si sarebbe dovuto svolgere nel primo pomeriggio di ieri è saltato e la convocazione è stata annullata a quattro minuti dall'inizio dei lavori, con uno slittamento alla prossima settimana. Alla base della decisione, la mancanza di un accordo fra le forze di maggioranza, che hanno chiesto in extremis il rinvio, nonostante Lega e M5S non fossero d'accordo. Pd e Pdl sulla carta dispongono rispettivamente di otto e sei senatori e avrebbero potuto chiudere la partita con l'elezione come presidente della Giunta del leghista Raffaele Volpi. Ma a pochi istanti dal via è scattato il timore che gli uomini di Via del Nazareno si muovessero secondo lo schema ormai consueto del «liberi tutti» e i franchi tiratori, guidati dal «falco» Felice Casson, finissero per far convergere il loro suffragio sul candidato grillino (Mario Giarrusso). Una sortita che con la questione dell'ineleggibilità di Silvio Berlusconi sul tavolo, avrebbe potuto far saltare il governo, tanto più che i grillini avevano annunciato di voler subito porre all'ordine del giorno la questione più spinosa.
La versione più o meno ufficiale fatta trapelare è che Pietro Grasso avrebbe deciso di posticipare la costituzione della Giunta «per assecondare un percorso di accordo fra le opposizioni», ovvero Sel, Lega e Movimento Cinque Stelle. Tre forze politiche, quante sono gli organismi di garanzia ancora da assegnare: oltre alla Giunta, la Vigilanza Rai e il Copasir. In teoria quindi sarebbe possibile assegnare una presidenza a ciascuno dei gruppi sulla base di un'intesa comune, ma dal M5S non arriva alcun segnale distensivo: «Non ho parole», commenta il capogruppo Vito Crimi. «Comunque il problema è solo rimandato, perché l'ex premier «sarà comunque ineleggibile a seguito della conferma delle condanne in Cassazione». Insomma i grillini non vogliono affatto rinunciare alla possibilità di utilizzare questo strumento come una clava con cui stanare il Pd e con cui provare ad aggiudicarsi consensi antiberlusconiani. E peraltro Sel non si fida affatto di eventuali accordi con l'M5S.
Il Pdl, naturalmente, non ha intenzione di abbassare la guardia. In mattinata dal presidente della Commissione Giustizia, Nitto Palma, arriva un segnale chiaro. «Se si dovesse votare l'ineleggibilità di Berlusconi ci sarebbero problemi di non poco conto per il governo» e «solo lo stesso Berlusconi, assieme ad Alfano potrebbero decidere se dare corso a una crisi di governo». Nel Pdl, però, si teme che per evitare una figuraccia, il Pd possa essere tentato di lasciare libertà di voto ai suoi esponenti. Di certo sull'ineleggibilità di Berlusconi tutti si giocano una bella fetta di consenso, con Beppe Grillo che cavalca il tema nella campagna per le Comunali. «Se fosse stato eletto Rodotà presidente, Berlusconi sarebbe in galera. E anche se fosse stato eletto Prodi, il leader del Pdl sarebbe morto». Dentro il Pd, però, non manca chi decide di esporsi e rischiare l'impopolarità. «Per tre o quattro volte, nelle passate legislature, il centrosinistra ha votato in un certo modo (contro l'ineleggibilità, ndr). Se non ci sono fatti nuovi non vedo perché dovremmo cambiare questa scelta» dice Luciano Violante. E Matteo Orfini dà forza a questa tesi.
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