La speranza è l'ultima a morire, così Bersani si aggrappa a Vendola e i due insieme si aggrappano a Casini (probabilmente in cambio della poltrona di presidente del Senato, anticamera del Quirinale) in un improbabile «Polo della speranza» che si candida a vincere le elezioni. Di Pietro resta fuori, in parte perché Napolitano, leader del Pd oltre che capo dello Stato, lo ha messo all'indice, in parte perché Tonino, che è ancora il più furbo della compagnia, sentita l'aria si è smarcato in tempo dall'abbraccio mortale Bersani-Casini. La sua gente non capirebbe, la corsa, da quelle parti, va fatta con o su Grillo, come dimostrano i sondaggi. Mani libere, dunque, per Di Pietro, per insultare tutto e tutti, fare piazzate e pagliacciate varie.
Tutto questo posizionarsi nella sinistra è comunque un segnale chiaro: ci si prepara a votare, indipendentemente dallo spread. Già, ma quando? Se le regole della politica avessero ancora un senso, l'arbitro Napolitano dovrebbe ripartire da dove il sistema democratico si è interrotto, cioè dal novembre scorso, quando il governo di centrodestra fu costretto a dimettersi. Il Quirinale, preso atto che la situazione economica e legislativa non soltanto non è migliorata ma sta precipitando, dovrebbe aprire le consultazioni chiamando sul Colle Silvio Berlusconi, ultimo premier eletto e ancora detentore di una maggioranza di fatto al Senato per fare il punto della situazione. La tabella di marcia della democrazia italiana non può più essere lasciata nelle mani di esimi professori, di capi di Stato esteri o di spregiudicati banchieri o finanzieri che si stanno arricchendo sulla nostra pelle. Abbiamo un Parlamento, abbiamo un partito di maggioranza relativa, verifichiamo se la coalizione che ha vinto le ultime elezioni si possa ricompattare per pilotare l'agenda finale della legislatura. Perché è evidente che la finta maggioranza chiamata a sostenere Monti ha perso anche quel barlume di forma che l'ha tenuta in piedi in questi mesi.
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