Guerra in Israele

"Islamisti già da noi, l’Italia ha leggi per espellerli"

l direttore dell'Osservatorio sul radicalismo: "Si sta riproponendo lo scenario del 2015, ma con i lupi solitari"

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Sì, li abbiamo in casa. E no, la situazione dell'Italia non è la stessa della Francia. Claudio Bertolotti, direttore dell'Osservatorio sul radicalismo e sul contrasto al terrorismo, ci aiuta a capire quali rischi reali corre l'Europa.

Attentato a Bruxelles, musei e aeroporti evacuati, allerta rossa a Parigi. Lei crede ci sia un reale risveglio del terrorismo in Europa?

«Innanzitutto il fatto che l'Isis abbia rivendicato l'attentato in Belgio non vuol dire che lo abbia commissionato. Se ne è appropriato per acquisire potere . Detto questo, temo si stia riproponendo lo scenario che abbiamo vissuto tra il 2015 e il 2017, non tanto per azioni corali e complesse ma perché si mobilitano singoli individui che si propongono come mujahidin e si immolano come martiri».

Quindi il rischio sono i «lupi solitari»?

«Non amo molto questo termine ma sì, il rischio sono loro. I self starter. Teniamo presente che lo Stato islamico non esiste più nella sua struttura, non è più in grado di inviare armi e militari in Occidente. Semmai finanzia i suoi seguaci. Per questo negli ultimi anni per gli attentati sono stati utilizzati coltelli o camioncini. Dal 2017 è iniziato il declino dell'Isis. Quindi il vero pericolo ora sono gli attacchi individuali».

E l'emulazione.

«Sì. Ogni attacco che ha successo mediatico ne suscita un altro. È una reazione a catena e solitamente avviene nei sette-dieci giorni successivi a un attentato».

Anche Al Quaeda ha lanciato un appello ai suoi: «I musulmani si mobilitino» ha detto.

«Al Quaeda non è più quella dei primi anni Duemila ma esiste ed è solida a livello locale. Tutti i gruppi hanno fatto appello ai loro adepti».

E molti jihadisti silenti sono già in casa nostra.

«Li abbiamo in casa, è vero. E noto che ultimamente a colpire sono gli immigrati appena arrivati, quelli sbarcati da pochi mesi. Agiscono da soli ma hanno legami con le organizzazioni».

Cosa cambia rispetto agli attentati del passato?

«I 200 attentati messi a segno dal 2004 sono stati compiuti prevalentemente da immigrati di seconda o terza generazione. Ora no».

Com'è la situazione in Italia?

«Meglio che in Francia. Noi abbiamo una legge che permette di espellere i sospettati jihadisti senza la cittadinanza italiana. E l'espulsione consiste proprio nell'accompagnamento fisico al confine. Dal 2015 ad oggi ne abbiamo allontanati 700. In Francia la legislazione è diversa. Inoltre da noi l'immigrazione è più recente di quella di Parigi: i figli degli immigrati italiani ora sono adolescenti e questo limita il numero dei soggetti pericolosi».

Nel suo studio «Immigrazione e terrorismo», analizza i legami tra flussi migratori e terrorismo di matrice jihadista. Gli sbarchi andrebbero fermati o almeno regolati diversamente?

«La correlazione c'è ma i numeri sono così bassi che non sono significativi. In Francia il numero di immigrati di prima generazione potenzialmente pericolosi è aumentato del 50%, sono soprattutto tunisini. E proprio fra i tunisini è stato reclutata una grossa quantità di foreign fighters in Libia».

Avverrà la stessa cosa ora? Cioè, anche Hamas recluterà foreing fighters?

«Hamas è un'organizzazione terroristica a tutti gli effetti. Ha preso potere tramite un esercizio elettorale ma non ha a che fare con la democrazia. Collabora con la jihad islamica e vuole l'istituzione dello stato islamico.

Quindi arruolerà forze anche dagli altri stati pur di distruggere Israele».

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