Chi è Carlo Cottarelli? È il commissario per la spending review, cioè colui che è stato incaricato dal premier Enrico Letta di tagliare i rami secchi della pubblica amministrazione. Deve risparmiare per ridurre la spesa e il debito nazionali. Altri prima di lui furono chiamati a fare la stessa cosa: presentarono dei piani, ma non li realizzarono. Non per incapacità, bisogna ammetterlo, bensì perché chi stava sopra di loro li bloccò mentre azionavano le cesoie.
Ricordate il ministro Piero Giarda? Ricordate l'economista Francesco Giavazzi? Ricordate il risanatore di aziende Enrico Bondi? Tutti e tre, chiamati dal governo a disboscare gli sprechi di bilancio, si dettero da fare, elaborarono dettagliati progetti e sul più bello furono messi alla porta con la preghiera di non farsi più vedere. Perché? Non lo sappiamo con certezza. Ma conosciamo il problema: i partiti della maggioranza, qualsiasi maggioranza, dicono che vogliono contenere le uscite e poi non lo fanno, temendo di perdere consensi alle elezioni.
Ora è la volta di Cottarelli. Gli hanno firmato un contratto affinché provveda a stringere i cordoni della borsa statale, però con una raccomandazione: non esagerare. Lui ha capito l'antifona e si è adeguato. Nel giro di un paio d'anni, ha detto, riuscirò a comprimere la spesa per una cifra pari al 2 per cento del Pil. Una miseria. Un'inezia. Roba da ridere. Ogni esecutivo nomina un nuovo uomo delle forbici e lo paga inutilmente, impedendogli di compiere la missione per cui è stato assunto.
Cottarelli comunque è più bravo dei suoi predecessori: non appena messo piede a Roma, ha rinunciato a fare un solo passo. Ha intuito che se non muoverà neppure un dito durerà a lungo nella carica assegnatagli. In qualsiasi azienda privata, uno che sia retribuito allo scopo di segare i costi e non li seghi viene licenziato. Nella pubblica amministrazione, invece, ottiene la conferma e riceverà compensi da qui all'eternità, purché eviti con cura di essere all'altezza del proprio compito.
Non c'è rimedio.
È noto che entro breve tempo alcune Province saranno chiuse. Ottima idea? Col cavolo. Si è saputo che il personale degli enti aboliti sarà assorbito dalle Regioni, in modo che non si crei ulteriore disoccupazione. Fantastico. Cancelli un baraccone, perché non serve e comporta oneri insostenibili, e ne ingrossi un altro, appesantendone l'organico, cosicché alla fine i conti non mutano: deficitari erano e deficitari rimangono.
Le Province costavano 100 e le Regioni 1.000? Da domani le Province costeranno zero, ma le Regioni costeranno 1.100. Una barzelletta di cattivo gusto. Da notare che se le Province facevano poco, le Regioni non fanno nulla: sono centri di spesa e di furto libero, dove i politici attingono a piene mani per i propri comodi. Non solo. Questi baracconi squallidi sono un peso finanziario e non forniscono alcun servizio ai cittadini, semmai li opprimono con addizionali, macigni burocratici, investimenti assurdi (tipo il grattacielo costruito a Milano per dare alla Regione Lombardia una sede più lussuosa del Palazzo di Vetro delle Nazioni Unite).
Va da sé che certi enti non hanno alcun senso di esistere, ma è difficile distruggerli in quattro e quattr'otto. Pertanto si tenti almeno di «abbatterne» qualcuno. In fondo quattro o cinque maxi Regioni sarebbero più che sufficienti. E avrebbero qualche chance in più per controllare la spesa sanitaria, oggi impazzita a causa di ruberie evidenti che impediscono un'omogeneizzazione dei costi delle prestazioni al Nord e al Sud. È mai possibile che la politica non sappia quale sia la strada da intraprendere? Che ci vuole per abbattere le barriere che vietano di trasferire il personale dell'amministrazione pubblica da un settore dove sia in esubero a un altro dove sia carente?
Già. I sindacati rifiutano simile soluzione. Ma essi non sono divinità. Con loro si tratta, e se non accettano la logica gliela si impone. Basta con le assunzioni, basta con i concorsi.
Se nell'esercito abbondano 30mila dipendenti, anziché in prepensionamento mandateli laddove c'è carenza di personale. Seguiteranno a percepire il salario, com'è giusto che sia, ma almeno non staranno a casa a grattarsi la pancia a nostro carico.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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