Italiani, vince il pessimismo Mai così sfiduciati dal '96

Dicono che il futuro non sia questione di numeri. Però qualche volta i numeri sembrano volerlo cancellare, il futuro: come quelli sull'indice del clima di fiducia dei consumatori, un dato diffuso ieri dall'Istat e che è ai minimi storici. Peggio di così non si era mai scesi, dal 1996 (cioè da quando sono iniziate le «serie storiche»): 84,8 a novembre, rispetto all'86,2 di ottobre. Ottantaquattro virgola otto è solo un numero, ma racconta un'Italia che non ci crede più. Le famiglie, soprattutto: sono loro a vedersi male, a scorgere nel futuro conti in rosso, stipendi dimezzati dalle tasse, tredicesime che evaporano prima ancora di essere messe in tasca, curve economiche in discesa, disoccupazione in salita.
Gli italiani vedono nero, per il paese e per sé stessi: e non è soltanto una sensazione, un sentimento. Non è solamente una banalizzazione da bar: le tabelle dell'Istat non saranno l'oracolo di Delfi ma se si parla di minimo storico significa che qualcosa gira storto, e non è solo colpa dell'immaginario collettivo. È proprio pessimismo, certificato dai numeri: infatti l'Istat precisa che peggiora sia la componente dell'indice riferita al clima economico generale (che scende da 71,5 a 69,4), sia quella personale, che passa da 91 a 90,9. Uno 0,1 impercettibile che però si inserisce in un contesto che, al di là dei dati e dei grafici è chiaro a tutti: i soldi sono quelli che sono, e in ogni caso sembrano meno di quelli che sono davvero. Sarà colpa della seconda rata dell'Imu, come accusano le associazioni dei consumatori, della tassazione che «è arrivata al 45 per cento e rischia di salire ancora», dell'aumento dell'Iva, delle bollette. Sarà anche colpa del Natale che arriva ma la gente, anziché sorridere inizia a tastarsi e a macerarsi se spendere o meno, e quanto, e per che cosa. E soprattutto si chiede a che cosa rinunciare, per non ritrovarsi a cominciare l'anno nuovo peggio di come sia finito quello passato. Perché il pessimismo frena: tiene chiuso il portafoglio più del saldo tentennante del conto in banca, non ti fa andare al ristorante, ti fa risparmiare sul cappotto che in fondo non serve, sulla borsetta che tanto ne hai altre dieci, sulla tovaglia che va bene anche quella vecchia, sul foie gras che comunque è un'indecenza, sugli addobbi che sono superflui, sulle ciliegie che sono fuori stagione e non è nemmeno tanto sano mangiarle, sui datteri che fanno ingrassare.
La Coldiretti ha già calcolato che le spese di Natale sono in calo del 3,7 per cento, con un record negativo per i regali che saranno tagliati dell'8,6 per cento: lo dicono i primi dati sullo shopping, quello di chi di solito si muove in anticipo, per evitare code e rincari. Si tratta di un terzo degli italiani, previdenti ma pure loro, quest'anno, sfiduciati: pronti a limitarsi, piuttosto che a spendere.
L'indice del clima di fiducia dell'Istat coinvolge le famiglie (negativi i giudizi sul bilancio familiare); le attese sulla disoccupazione; il futuro stesso, che è visto in declino. Lo dice un «saldo» (le prospettive future scendono da - 33 a -35), lo dice una percentuale (le attese sono considerate in peggioramento dal 28,4 per cento, rispetto al 25,7 per cento del mese scorso). E può risultare un po' astruso quantificare il futuro e le proprie speranze, ma resta da capire come mai, a novembre, gli italiani si siano scoperti così pessimisti. Forse è che la fine dell'anno si avvicina.

Forse è che vorrebbero spendere, per Natale, ma non credono più di poterlo fare. A volte le aspettative sono peggio della realtà, ma può succedere pure il contrario. Si sa che per l'economia è un circolo vizioso e può fare molto male.

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