Jessica è una vecchia conoscenza del Giornale, pur essendo una ragazza di soli 23 anni, laureanda in ingegneria, attrice e modella; superfluo, forse, precisarlo: è assai (...)
(...) avvenente. Ne scrivemmo quando batté Di Nardo nella finale tra professionisti e dilettanti del sulky, guidando Loredan AS, in una gara che è perfino banale definire entusiasmante. Basta immaginare la scena: una fanciulla in fiore, gentile e delicata che supera sorridendo un vecchio marpione (bravissimo) degli ippodromi. Trionfo memorabile.
Un dettaglio: su 100 persone che si dedicano al trotto, 99 sono maschi. Questo per capire di che cosa stiamo parlando. Stavolta Jessica ne ha combinata un'altra meritevole di segnalazione. Alcuni giorni fa, sulla pista di San Giovanni Teatino (Pescara), compare anche lei nel mucchio selvaggio di coloro i quali si contendono il primato in una normale, direi routinaria, corsa. Gli organizzatori la trattano come una sfigata, nonostante il suo curriculum. L'ippica è una retroguardia maschilista, notoriamente. Alla futura (prossima) ingegnere assegnano il numero 10. Il che significa - lo dico a chi non è esperto di questo sport al tramonto - partire sconfitti, cioè in seconda fila, tre metri dietro.
La macchina con le ali che regola il via si muove lentamente, poi aumenta la velocità e si accosta allorquando i cavalli hanno preso slancio. Jessica, al comando di un modesto cavallo, Nord Buc, cerca un varco per non rimanere ultima. A fatica lo trova e s'infila nel gruppo con la speranza di guadagnare una posizione meno svantaggiosa rispetto a quella assegnatale dai soloni addetti ai lavori. I trottatori si battono nella confusione tipica di queste competizioni; un'autentica bagarre nella quale ne succedono d'ogni colore: frustate, urla, bestemmie che coinvolgono l'intero calendario, santi e Madonne. Le corse nel peggio offrono tutte lo stesso spettacolo. Jessica non fiata. Non frusta per il semplice fatto che non impugna la frusta, non la usa mai, non la possiede proprio. Però guida con attenzione e senso tattico, al punto che dopo l'ultima piegata, a circa 400 metri dal palo, il suo Nord Buc si immette nella scia di Ottoz, che conduce il plotone, come scrivevano una volta i giornalisti esperti di ciclismo.
La gente sugli spalti sgrana gli occhi, incredula che il negletto numero 10 abbia compiuto il miracolo di accodarsi al cavallo di testa. Vabbè. Fin qui ci può stare che, per una serie di circostanze favorevoli, un illustre sconosciuto, un figurante, si sia intrufolato tra gli equini più accreditati. Ma quello che è accaduto subito dopo è strabiliante. Ottoz, picchiato di brutto dal suo driver timoroso di perdere terreno e disposto a tutto, anche alla violenza, per spremere energie all'animale affidatogli, sta per aggiudicarsi la vittoria. Mancano pochi metri al traguardo.
Ormai è fatta? Un corno. Jessica, soddisfatta della seconda piazza, ha smesso d'incitare con la voce Nord Buc: gli consente di comportarsi come l'istinto gli suggerisce; rinuncia a spremerlo per evitare di sfiancarlo e di nausearlo. E qui avviene il prodigio. Il cavallo, responsabilizzato, felice di non essere costretto con la forza ad ammazzarsi di fatica, ha agito nello stesso modo in cui avrebbe fatto in natura, nel branco dei suoi simili allo stato brado, e con un guizzo gioioso ha regalato a Jessica un successo commovente, sorpassando Ottoz di un soffio.
L'ippodromo è ammutolito. Per qualche istante gli spettatori hanno osservato, zittiti dall'ammirazione, quel volo impossibile, avvenuto grazie al cuore animalista dell'affascinante ingegnera e alla generosità, ai limiti del sacrificio, del piccolo grande Nord Buc, semplicemente un cavallo, orgoglioso di essere stato rispettato dalla sua guidatrice e capace di ricompensarla con un'impresa che non era alla sua portata.
Morale della bella favola diventata realtà: non è con la frusta ma con l'amore che si ottiene la collaborazione di un puledro, campione o no che sia.
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