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L’asta dei Bot spagnoli spaventa le Borse E lo spread si impenna

L’asta dei Bot spagnoli spaventa le Borse E lo spread si impenna

Aprile è il più crudele dei mesi. Non solo per Eliot, ma anche per i mercati, dove va appassendo giorno dopo giorno la primavera. Cancellata la troppo breve stagione dei rialzi e del raffreddamento degli spread, adesso è tutto un ripiegare in trincea. Il film della crisi, purtroppo, non è ancora ai titoli di coda. E l’happy end è tutt’altro che garantito.
È bastata ieri una manciata di ingredienti indigesti per provocare un ulteriore sbandamento collettivo trasformatosi, a fine giornata, in una sbornia ribassista ad alto tasso di tensione. Con cadute degli indici superiori al 2%, sotto la pressione delle vendite. Milano ha preso un’altra botta: un -2,42% su cui hanno ancora una volta pesato le banche. Nel giro di appena un mese, i titoli del credito hanno dilapidato un guadagno da inizio d’anno superiore al 20%. Una picchiata certo legata a bilanci poco brillanti, ma - soprattutto - alle rinnovate preoccupazioni sulla crisi del debito. Le stesse che hanno portato ieri lo spread Btp-Bund a inerpicarsi fino a quota 358. È il livello massimo da fine febbraio, una soglia d’allarme che sarà valsa almeno un’alzata di sopracciglio alla superstar del self-control, Mario Monti. «Gli spread risalgono perché il risanamento non è finito: i mercati stanno dicendo ai governi di attuare le riforme strutturali», ha detto a chiare lettere il presidente della Bce, Mario Draghi, durante la conferenza stampa che ha seguito il direttivo dell’istituto (tassi invariati all’1%).
È vero che i differenziali di rendimento esercitano un ruolo cruciale nell’opera di moral suasion a favore del riequilibrio dei conti pubblici e delle riforme; ma al tempo stesso, se fuori controllo, hanno anche il potere di vanificare le manovre, i sacrifici e le rinunce già fatti. Ben lo sanno anche gli spagnoli. Nonostante la misura correttiva da 27 miliardi di euro appena annunciata dal governo Rajoy, lo spread è decollato fino a 390 punti e gli investitori hanno mostrato ieri nei confronti dell’asta dei Bonos lo stesso entusiasmo riservato a una cambiale in scadenza. Le scarse adesioni hanno costretto il Tesoro iberico a piazzare titoli per 2,6 miliardi, la parte più bassa della forchetta (2,5-3,5 miliardi). Tra l’altro, a caro prezzo: il tasso sui triennali si è attestato al 2,89%, in rialzo rispetto al 2,44% dell’emissione precedente.
L’esito deludente del collocamento di Madrid ha contribuito a mettere ulteriormente di malumore le Borse, peraltro già maldisposte dall’intenzione della Federal Reserve di non mettere in campo, almeno nel breve periodo, ulteriori stimoli per l’economia Usa. Quando poi Draghi ha iniziato a parlare del quadro congiunturale nell’euro zona, le vendite si sono intensificate. «L’economia soffre ancora rischi al ribasso», ha spiegato il numero uno dell’Eurotower, e quest’anno non si andrà oltre «una ripresa moderata». Con questi chiari di luna, quindi, non se ne parla di rimuovere le misure straordinarie anti-crisi: «Date le attuali condizioni della produzione e della disoccupazione, ai massimi storici - ha detto l’ex governatore di Bankitalia - qualsiasi exit strategy al momento è estremamente prematura».
Con altrettanta fermezza, Draghi ha poi difeso le due maxi-aste che hanno messo oltre 1.000 miliardi nelle mani delle banche. Respingendo sia le accuse di aver fatto quantitative easing all’americana («La nostra è un’operazione classica: prestato denaro sulla base dei collaterali») e rivendicando, con queste misure, di aver contribuito «alla stabilizzazione» dell’economia.

La capacità di finanziarsi delle banche, ha aggiunto, «è migliorata» e «non vediamo alcun segnale che dica che gli istituti sono dipendenti dalla Bce». Chiara la replica all’Eba (l’authority europea delle banche), che nei giorni scorsi aveva sollecitato le banche a “disintossicarsi“ dai prestiti dell’Eurotower.

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